di Giuseppe Bivona
Da qualche mese è in libreria un
appassionante saggio di Silvia Perez-Vitoria “Il ritorno dei contadini”
pubblicato dalla battagliera casa editrice Jaca Book .
Ma come? Ci siamo chiesti stupiti !
Non erano stati sradicati ed espulsi dalle campagne , imbarcati sui bastimenti,
negli anni a cavallo tra l’ottocento e il novecento, verso le Americhe,
alimentando un flusso migratorio di proporzioni bibliche?
Non ne avevano sterminato abbastanza i
bolscevichi durante e dopo la
rivoluzione russa perché controrivoluzionari?.
E le campagne cambogiane non furono
trasformate in un vero e proprio “inferno” in cui gettare milioni di” borghesi”
da epurare e massacrare, restii ai programmi di rieducazione imposti dalla
brillante follia “intellettuale” di Pol Pot ?.
Comunque sia, accomunate dall’ onda
lunga della “modernità”, sia la
rivoluzione industriale che le ideologie rivoluzionarie, in nome del sol dell’avvenir,
sovvertirono e cancellarono tutto ciò che si legava alla vecchia e vituperata
civiltà contadina :dalla famiglia , all’idea di lavoro ,dal risparmio alla
gerarchia dei valori ecc Il contadino era l’incarnazione del vecchio , una
figura sociale retriva ,restia al cambiamento ,insomma un ostacolo da
eliminare senza indugio , se si voleva
costruire l’”uomo nuovo”!
Stranamente ,negli anni del dopoguerra
il mondo contadino subì un’eutanasia, apparentemente indolore e volontaria,
assunse sempre più i connotati di un suicidio collettivo , una diffusa volontà
di annientarsi ,scomparire . Come un fiume alla deriva, abbandonarono in massa
le campagne , attratti dal luccichio
ingannevole delle città! Non volevano essere più tali! Rinnegarono se stessi, per
essere altro da se! Abbracciarono la” modernità” con l’entusiasmo tipico del
neofita della prima ora . Per quanto più gli costava allontanarono i propri
figli dalla terra , recisero i valori ad essa legata,ne cancellarono la
memoria.
Ancora esterrefatti ci chiediamo: ma
come sia stato possibile consumare un si tragico misfatto nel più completo e
totale silenzio?
In verità , alcuni intellettuali (ricordate la polemica sulla scomparsa delle
lucciole di Pier paolo Pasolini?) ,percepirono la tragicità dell’evento ,
avvertirono le nefaste conseguenze ,
luttuose e irreparabili ,che la fine del mondo contadino trascinava con se.
Per il resto , il vasto fronte
ideologico –culturale , condivise la diffidenza e il disprezzo per il mondo
contadino , anzi coloro che si sono proclamati portavoce degli interessi delle
popolazioni rurali, hanno contribuito ad
accelerarne la scomparsa!
Tra questa folta schiera oltre a
politici e sindacalisti, annoveriamo i tecnici ,ricercatori e agronomi. Veri e
propri “cavalli di Troia”, portatori di un sapere omologato,di conoscenze
appiccicaticce, forte di soli pochi anni di esperienza ,ma baldanzosi pei primi
risultati prontamente “spendibili”.Così
,hanno avuto ragione di una secolare e “sedimentata” esperienza che, in loco,
era stata accumulata e tesaurizzata da intere generazioni ,un sapere non
separato dal “fare”, ma mediato, riprodotto , trasformato e articolato dalla
comunità.
La distanza tra saperi tradizionali e
saperi cosi detti scientifici è abissale! Si confrontano e si scontrano due
diversi modi di rapportarsi alla “natura”. Per la cultura contadina la
natura(ne benigna ,ne maligna ma solo
crudelmente innocente ) si inserisce in una visione del mondo nel quale l’uomo
è parte integrante della stessa con cui
interloquisce nel rispetto delle entità biotiche e abiotiche . Per la ricerca
agronomica l’uomo può separarsi dalla natura grazie alla tecnologia e
potenzialmente e parzialmente dominarla . Queste conoscenze tendono ad avere un
carattere generalizzabile , estensibile a luoghi e ad ambienti diversi e
distanti tra di loro . Insomma il sapere non è più una prerogativa di una
comunità e di una realtà locale : e quello che potremmo definire un sapere
“hors sol”!. Ma non è stata questa forse la fonte dei frequenti fallimenti degli
agronomi ogni qual volta tentavano di
trasferire in ambienti diversi le stesse tecniche ? Oppure
nel voler applicare modelli colturali”standardizzati” rivelandosi nel medio e lungo periodo,
inadatti agli ambienti presi in considerazione?
Abbiamo maturato in questi ultimi anni
una consapevolezza che ci consente oggi di denunciare come la ricerca agraria , da originario
strumento di conoscenza e acuta osservazione in “loco”degli eventi, sia
diventata sempre più “apparato” elefantiaco e burocratico impegnata
ad autosostenersi e autoriprodursi ,immersi nella retorica della nell’autoreferenzialità. Abbiamo i santuari sacri del sapere, la cui custodia è
affidata ai nuovi sacerdoti ,i soli veri
leggittimi depositari della verità!. Questsa ricerca intesse sempre più stretti
vincoli d’interesse culturali con le industrie agro-alimentari ,con le quali ha
quasi sempre una visione “convergente” (vedi ogm) ma che inevitabilmente
contribuiscono, attivamente ,al deterioramento dei sistemi agrari.
Per anni il paragone tra agricoltura
industriale e tradizionale e stata istituita in base a criteri puramente
economici : scarti di produttività ,redditività del lavoro efficienza ecc. Tutto il” resto” cioè
l’ambiente , la qualità della vita ,la cultura ,il benessere ( da non
confondere con il bene avere), non viene mai preso in considerazione .Sono rari
gli studi che permettono di considerare i sistemi agricoli nelle loro totalità:
la dove si è tentato un approccio che tiene conto dell’insieme delle risorse
vie fuori che l’agricoltura tradizionale è più produttiva di quella
industriale.
Ma “Il ritorno dei contadini”non è un
idea-progetto antistorico? Come si possono spostare indietro le lancette del
orologio della storia? Come dovranno essere i contadini di domani?
Anche se volessimo un ritorno,
siamo seri ,sarebbe impossibile ,ne sarebbe possibile un suo “restauro” ne la sua “conservazione”.
Tuttavia possiamo e dobbiamo ricucire
un lacerato (e spesso spezzato) rapporto con la terra ,e col suo retroterra
culturale cioè con la natura ,con il ciclo della vita(e della morte)
Dobbiamo ripristinare la “diversità”
di cui il mondo rurale ne è la più significativa espressione per la semplice
ragione che oggi, rimane depositaria di
una grandissima varietà di ecosistemi e organizzazioni sociali di saperi e sapori ,quella che viene definita
cultura materiale.
L’ autrice ,Silvia Perez-Vitoria è
perentoria! Conclude l’ultimo capitolo del suo libro con un titolo
significativo: Il XXI° secolo sarà contadino…. o non sarà