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lunedì 5 febbraio 2024

All'oleificio “Abbate & Figli” il riconoscimento di Custode dell'Identità Territoriale


  L’olio Extra Vergine d’Oliva  dell' oleificio “Abbate & Figli” di Naro, andrà in scena a Sanremo con i suoi oli eccezionali vere e proprie star dell'  Born in Sicily.

Per l’elevata qualità e il suo perfetto equilibro, l’ Azienda siciliana  è stata selezionata  come olio nell’area dedicata all’hospitality, luogo di ritrovo e relax per gli artisti, giornalisti, ospiti e addetti ai lavori e vetrina prestigiosa dell’eccellenze eno-gastronomiche italiane.

 

L’Olio EVO prodotto dall'Oleificio Abbate, con il suo carattere ed il suo gusto intenso andrà ad arricchire e impreziosire le pizze che assaporeranno i concorrenti del   Festival di Sanremo.

 E' notizia di questi giorni il conferimento del prestigioso riconoscimento di "Custode dell'Identità Territoriale" "Il riconoscimento – afferma  Nino Sutera – viene conferito a chi si spende quotidianamente per la salvaguardia e la valorizzazione della tradizione e dell’identità dei territori anche sotto l’aspetto agroalimentare, attraverso un’efficace comunicazione del patrimonio enogastronomico autoctono".
https://terra.regione.sicilia.it/borghi-geniusloci-de-co-legame-fra-uomo-ambiente-clima-e-cultura-produttiva/
"GeniusLoci è un processo culturale di valorizzazione del territorio, al francese “terroir” preferiamo il latino “genius loci” un equilibrio di forze ed energie caratteristico di un luogo definito e pertanto irripetibile.
Il percorso Borghi GeniusLoci De.Co.,  prevede un modello,  dove gli elementi essenziali di relazionalità sono Territorio-Tradizioni-Tipicità-(intesa come specificità)Tracciabilità e Trasparenza, che rappresentano la vera componente innovativa, elementi che l'Azienda Abbate possiede tutte.
L’oleificio “Abbate & Figli” si estende per oltre 33 ettari sul territorio di Naro, un comune in prossimità di Agrigento. L’azienda, a conduzione familiare, è gestita principalmente dai fratelli Lorena e Salvatore Abbate che grazie ai sacrifici di mamma Concetta e papà Antonio hanno realizzato il loro sogno, ovvero di dedicarsi a tempo pieno alla loro passione: l’agricoltura. “La nostra realtà nasce grazie ai miei figli – racconta Concetta, Salvatore  28 anni, dopo aver completato gli studi mi ha proposto nel 2016 di comprare l’oleificio così io e mio marito Antonio abbiamo deciso di acquistarlo. Lorena, 23 anni, diplomata in Ragioneria, segue invece la parte amministrativa dell’azienda”.


L’olio Naristeo
 nasce dalle terre della città di Naro da piante tenute con estrema cura, senza ricorrere all’utilizzo di prodotti chimici, come diserbanti e pesticidi ed è certificato secondo le norme in vigore. Ricco di polifenoli, non soltanto si sposa bene con tante pietanze ma è anche un ottimo elisir di ‘giovinezza’ nutritiva. “La voglia di fare impresa e di andare incontro alle nuove tecnologie ha fatto in modo di avvicinare sempre le nostre idee verso l’innovazione, senza mai perdere di vista i principi cardine della salvaguardia dei prodotti – afferma Salvatore -. La mia passione nasce in campagna, circondato da enormi alberi monumentali di ulivo secolari che il solo soffermarsi a riflettere e a guardarli rievocavano nella mia mente storie antiche, storie di un passato. A noi stanno molto a cuore la natura e i suoi frutti, ed è per questo motivo che siamo sempre impegnati alla continua ricerca di metodi alternativi in grado di garantirci massima qualità e attenzione verso l’ambiente”
.

domenica 4 febbraio 2024

La cucina dei Vicerè – Lo sciabbò di Castrogiovanni


 Anna Martano

tratto da “Il diamante nel piatto. Storia golosa della Sicilia in 100 ricette e cunti”

 Ali&No Editrice

            Sebbene il suo nome derivi dal francese jabot, termine che indica l’arricciatura dello sparato della camicia, in realtà è una ricetta di derivazione spagnola. Appartiene, a buon diritto, al filone della cucina baronale-vescovile che cominciò che prendere forma organica sul finire del Medioevo e che fu codificata in epoca barocca, assumendo anche, nel suo periodo trionfale, la denominazione aggiuntiva di cucina dei Viceré. Originariamente il vocabolo sciabbò indicava un tipo di lasagna larga circa tre dita e arricciata sui lati che le famiglie nobili dell’ennese si facevano preparare per i giorni di festa; l’arricciatura sui bordi della pasta si otteneva lasciandola asciugare su un graticcio fatto con canne sottili la cui rotondità faceva assumere alla pasta la sua tipica forma. Per estensione, poi, il termine sciabbò cominciò ad indicare anche il particolare ragù usato per condirla, originariamente bianco, poi integrato con l’aggiunta del concentrato di pomodoro. L’impiego del cioccolato amaro nella preparazione di questo sugo di carne ne rivela la piena origine spagnola. Gli spagnoli, infatti, che in Messico avevano conosciuto il cacao, avevano appreso dagli indios l’uso del cioccolato nelle preparazioni salate; tuttora uno dei piatti più noti e tipici della cucina messicana è il mole poblano, una sorta di spezzatino con tacchino, spezie e cioccolato.  

Per 6 persone, imbiondite dolcemente in olio evo una cipolla finemente tritata; unite 300 gr di polpa di maiale magra tritata (fatela passare due volte) e lasciate rosolare. Aggiungete 200 gr di concentrato di pomodoro e spruzzate generosamente con vino rosso corposo e tannico; coprite e lasciate stufare per circa 20 minuti. Quando il sugo si sarà ristretto, lasciate sobbollire lievemente, regolate di sale e pepe, aggiungete 35 gr di zucchero, un’abbondante presa di cannella e 30 gr di cioccolato fondente (al 70% almeno) spezzettato; lasciate sciogliete il cioccolato mescolando con delicatezza affinché il cioccolato si amalgami bene e togliete dal fuoco. Condite la pasta nel tegame ma non sulla fiamma.

La videoricetta è disponibile al link https://youtu.be/RCTFxaMF0iE 

 

giovedì 1 febbraio 2024

Aromatiche spontanee

Pietro Ficarra

Fra le specie aromatiche sicuramente spontanee della famiglia delle Apiaceae, occorre citarne almeno alcune che i più curiosi e sperimentatori tra di voi conoscono certamente, e nel caso devono provare, essendo di facile riconoscimento, con interessanti valenze di tipo aromatico e di grande interesse gastronomico. Un posto di rilievo lo occupa il finocchio marino (Crithmum maritimum, nella foto), che cresce spontaneo e abbondante lungo le coste italiane e ha un sapore interessante e particolare, tra il finocchio e il sedano e con un richiamo di salsedine che ricorda il mare.


Se è vero che il suo uso tradizionale è limitato a poche zone costiere mediterranee – si usano le fronde, fiori e semi, anche freschi - si tratta pur sempre di una specie ampiamente usata nei secoli passati, anche lungo le coste atlantiche e perfino in Inghilterra. C'è un'altra aromatica spontanea che si ritrova più o meno in tutta Italia, anche se non è molto comune nella gran parte del nostro territorio, e di cui si può fare un uso quotidiano come valido sostituto del sedano, avendo anch'essa un aroma simile, con sfumature che virano però in questo caso al piccante. Si tratta del macerone (Smyrnium olusatrum, nella foto), specie coltivata in passato proprio al posto del sedano e però oggi reperibile solo in natura. Anche in questo caso si tratta di una pianta che potete ospitare in giardino, se vi procurate i semi.



Come il sedano, potete utilizzarla come verdura e sfruttare però anche le sue peculiari note aromatiche. Allo stesso modo potreste sfruttare il profumo di un'altra specie (e di alcune sottospecie abbastanza simili), che si usa per lo più come verdura, ma che emana aromi caratteristici, suoi propri, da poter sfruttare, nelle preparazioni giuste o nelle conserve. Si tratta del panace (Heracleum sphondylium), pianta presente un po' in tutta Italia. Anche il sedano d'acqua o crescione (Apium nodiflorum), pianta diffusa negli ambienti acquatici e dal sapore particolare, è noto anche per l'aroma, caratteristiche che insieme rendono le foglie e i gambi più teneri ottimi componenti di insalate, miste o anche composte solamente da questa specie. Infine un'ultima umbellifera dall'aroma intenso di anice, spontanea in ambienti di boscaglia e a una certa altitudine, la citata mirride (Myrrhis odorata, nella foto), chiamata anche finocchiella dei boschi, di cui si usano le foglie profumate, i semi e le radici in funzione degli abbinamenti che possono sfruttare questo aroma particolare. Buona per avvolgere formaggi, nelle torte e in altre preparazioni a base di frutti acidi, di cui diminuisce l'acidità permettendo quindi di utilizzare meno zucchero.



Le immagini - riguardano finocchio marino, macerone e mirride nell'ordine - suggeriscono alcuni impieghi ma ovviamente non sono che esemplificative delle molteplici possibilità d'uso. Chi lo desidera può scaricare come sempre le schede delle specie al nostro sito, http://www.piantespontaneeincucina.info , o altri post in questa pagina, cercando sempre con la denominazione scientifica. Nel sito si trovano anche molte ricette e quelle raccontate, comprese diverse con le aromatiche, si trovano dalla home page, mediante il tab “La cucina selvatica di Stefania” http://www.piantespontaneeincucina.info/wordpress/.... Il tema è comunque approfondito nel libro della nostra collana sulla cucina selvatica “Il selvatico in cucina: le aromatiche spontanee. Piante, consigli e gastronomia”, che si trova con un semplice clic.


Testo e foto Pietro Ficarra

giovedì 25 gennaio 2024

Pellegrino Artusi e Gualtiero Marchesi

 

Artusi e Marchesi  da "Custodi dell'Identità Territoriale" alla nidiata di tanti bravi allievi della cucina italiana   

L'avete mai visto uno che è tifoso della Juve e dell'Inter contemporaneamente? 
..No. Ecco in cucina è la stessa cosa, non si può essere cuoco italiano e  contemporaneamente ispirarsi a un big francese, a dir poco si è affetti di una profonda crisi di identità culinaria

  Dall’incrocio di Pellegrino Artusi e di Gualtiero Marchesi hanno generato una squadra attenta di giovani cuochi italiani bravi, non chiamiamoli “chef” non sono subalterni ai francesi, ma alternativi, lo dimostra anche il fatto che nel mondo si magia italiano e non francese.



 Gualtiero Marchesi: la vera cucina è saper mangiare bene

"Ho imparato tutto da lui: alla sera tardi per ore si parlava di piatti. Assaggiavo esperimenti, novità, su forchette e cucchiai strani. E sempre mi diceva: “ la vera cucina è saper mangiare bene”, non andava d’accordo con il Pellegrino… ma da giovane lesse più volte il libro del romagnolo scritto nel 1891 all’età di oltre settantanni recuperando ricette altrui.

La vera differenza tra Artusi e Marchesi

Una grande differenza fra loro era il modo di porsi in cucina davanti al fornello e nella creatività e scoperta di una ricetta. Artusi ha voluto soprattutto raccontare la cucina degli italiani che avevano perso, dimenticato, abbandonato; mentre Marchesi ha contribuito a creare un modo di vivere la cucina e la tavola insieme.

Pellegrino Artusi

Artusi non volle mai codificare o uniformare o catalogare la cucina italiana… la sua formazione letteraria e linguistica e il fatto di “raccogliere” ricette segnalate non lo fa un cuoco, ma più uno “scalco” nuova maniera.

Con la fine del Settecento la cucina italiana-medioevale-rinascimentale finisce, finisce con la fine degli “scalchi” figure particolari fra la cucina e la tavola aristocratica che non solo erano bravi macellai e tagliatori di carni, grandi ortolani, esperti di condimenti, bravi pescivendoli o pasticceri… ma soprattutto sapevano raccontare a voce la ricetta ai commensali del principe.

La cucina francese, nata dopo che Caterina de’ Medici regina di Francia importò dalla Toscana tante ricette italiane oltre che l’uso della forchetta allora ignota ai francesi, perdurò per molto tempo, ma l’Artusi favorì un risveglio nazionalistico, fortemente antagonista. Artusi propone una cucina italiana domestica, capace di esaltare lo stile di vita mediterraneo  ed emotiva, contro una cucina francese che non disponevano degli alimenti mediterranei, e quindi si ispiravano a quelli nordici (basta ricordare che la cucina francese ha sos

tituito l’olio EVO con il burro, ma l’elenco degli esempi è lunghissimo)

… l’Artusi fu il primo blogger gastronomico

E’ da quel momento che la cucina italiana si propone come arte del divenire, delle molteplici interpretazioni e della condivisione rispetto ad un sapere omologato non modificabile. Inoltre l’Artusi fu il primo blogger gastronomico: pochissime ricette del suo libro prevedono un suo intervento, quasi tutte arrivano dalle lettere scambiate con le cuoche di tante case italiane.

… la pasta come elemento base del menu italiano

La prima edizione del libro “artusiano” riporta 475 ricette, l’ultimo 790 nell’arco di 20 anni di continui aggiustamenti.  Ad Artusi non si devono ricette, ma la scelta di porre “ la pasta” come elemento base del menù italiano. E’ in quegli anni di fine XIX° secolo (1891-1905) che nascono tante ricette di pasta, come il piatto “discriminante” di una tavola, di una regione, di un menù. E’ la pasta che rende la tavola veramente artigianale e biodiversa: rileggendo per esempio le ricette degli spaghetti o delle paste ripiene si nota come la omogeneità della produzione della pasta  sia poi firmata territorialmente da alcuni ingredienti unici esclusivi di un territorio.

In Italia ci si dimenticò totalmente della “cucina artusiana” pensando addirittura per anni (secondo dopoguerra fino agli anni ’70) ad una soluzione industriale della tavola e della cucina, preconizzando “pillole” tutto fare. Fortunatamente per l’Italia  nacque la generazione (in cucina) di cuochi “marchesiani” che non lasciarono dimenticare la storia artusiana e non si lasciarono abbindolare dalla regolarità  matematica e schematica delle salse, sughi, temperature, abbinamenti lineari della cucina francese che in ogni caso è confinata solo in Francia




sabato 20 gennaio 2024

Le Siringate, una prelibatezza identitaria

 Santa Margherita Belice (Agrigento), ha adottato il percorso Borgo GeniusLoci De.Co. Un percorso culturale che prevede un modello dove gli elementi essenziali di relazionalità sono territorio – tradizioni – tipicità (intesa come specificità) – tracciabilità – trasparenza, che rappresentano la vera componente innovativa, da condividere con il territorio e per il territorio. Il percorso Borghi  GeniusLoci De.Co. mira a salvaguardare e valorizzare il “locale”, rispetto al fenomeno della globalizzazione, che tende a omogeneizzare prodotti e sapori. Il GeniusLoci rappresenta l’essenza, l’identità di un territorio; a esso appartengono le immagini, i colori, i sapori e i profumi dei paesaggi. 

 


Una attenta ricerca storica del professore Andrea Randazzo, sull’origine del prodotto simbolo e identitario di Santa Margherita Belice, le “siringate”, racconta che con la venuta degli Spagnoli in Sicilia, nel 1516 con re Carlo V d’Asburgo, il settore culinario e dolciario si arricchì di nuovi prodotti. Come i famosi Churros (siringate) che in Sicilia, non riscossero la medesima popolarità che avevano ed hanno nei paesi di lingua spagnola, dovuto, probabilmente, al nostro largo uso di cannoli, cassatelle e sfingi, portati in Sicilia dagli Arabi. I churros e le siringate di Santa Margherita di Belìce sono simili nella forma e nel colore ma diversi nella sostanza: i primi sono fatti, in ordine di quantità, di acqua, farina, burro, uova, zucchero e sale; i secondi, di ricotta, farina, miele, zucchero, uova, cannella e scorza d’arancia grattugiata.

I bene informati, raccontano che a fare le prime siringate di ricotta fu la moglie di un pastore margheritese, che viveva nel lontano feudo Meccina col marito e la loro numerosa prole. In estate, le pecore, come è noto, producono poco latte e di conseguenza i pastori ottengono limitati quantitativi di ricotta; a quei tempi non esistevano frigoriferi e l’unico metodo di conservazione della ricotta consisteva nel salarla ed esporla al sole. Quando il curatolo raggiungeva una consistente quantità di ricotta salata andava in paese a venderla. Un giorno la donna, vedendo il marito immergere il formaggio appena fatto nel siero bollente per non guastarsi, pensò di mettere la ricotta nell’olio bollente ottenendo un dolce che piacque ai suoi figli, e, soprattutto, si conservava bene per alcuni giorni.


Poi, per migliorare la cottura, fece dei cilindretti adoperando l’imbuto di latta con cui il marito durante l’inverno faceva la salsiccia. A poco a poco, aggiunse altri ingredienti ottenendo, infine, una vera prelibatezza. Un giorno il conte Lucio Mastrogiovanni Tasca, marito della principessa Giovanna Filangeri la quale amava trascorrere diversi mesi all’anno nel suo sontuoso palazzo di Santa Margherita di Belice, si trovò a passare per quella masseria, dopo un’estenuante battuta di caccia con i suoi amici. La moglie del pastore molto imbarazzata non sapeva cosa offrire a quel nobile signore che, fra l’altro, era anche il proprietario del feudo e degli armenti. Prese del pane appena sfornato, lo condì con olio, sarde, vastedda ed origano; infine, alquanto timorosa, prese un canestro colmo di siringate e gliele porse.

Don Lucio e i suoi amici, credendo che fossero i comuni churros, ne presero qualcuno per non essere scortesi, ma appena li assaggiarono, una dopo l’altra le finirono tutte. Il conte prima di ripartire invitò la donna a recarsi a casa sua per insegnare alla loro cuoca a fare quei dolcetti tanto squisiti. Anche alla principessa Giovanna le siringate di ricotta piacquero tanto, così cominciò a offrirle a tutte le sue amiche che andavano a trovarla; e durante il carnevale interi vassoi di siringate venivano offerti a tutte le maschere che andavano a ballare nel suo palazzo. E così, quei gustosi dolcetti che piacevano tanto alla principessa Filangeri, che a Santa Margherita di Belice era trattata da tutti come una regina, divennero popolari non solo tra le famiglie abbienti ma tra tutti i margheritesi.

La ricetta

Ingredienti
gr. 500 di ricotta,
gr. 150 di zucchero,
gr. 200 di farina,
due uova, gr.
200 di miele,
olio extravergine di oliva.

Preparazione
Battete le uova con lo zucchero e il composto ottenuto incorporatelo alla ricotta che avrete precedentemente setacciato. Aggiungete la farina e amalgamate con cura fino a ottenere un impasto consistente (regolate la consistenza aggiungendo se necessario altra farina). Passare la ricotta così amalgamata in una grossa siringa per dolci dello spessore di un dito e versarla a “siringate” nell’olio caldo a friggere. Appena saranno dorati, sgocciolateli e poneteli su carta da cucina a perdere l’unto in eccesso. Irrorate con il miele fuso a bagnomaria e
servite.

venerdì 19 gennaio 2024

Tra storia e leggenda, ecco l’Ovamurina di Sciacca

 

                Il nostro obiettivo è accompagnare la valorizzazione dei simboli della nostra terra, il profumo del nostro mare, uniti alle bellezze ambientali. In questo percorso, chef, gastronauti, giornalisti, sommelier, associazioni, pro-loco, intenditori e appassionati, sono partners privilegiati, a divenire Custodi dell’identità territoriale. La “fusione” tra coscienza collettiva e patrimonio culturale è l’obiettivo portante. La pasticceria conventuale, probabilmente, è stata la salvezza del patrimonio dolciario della Sicilia. Nei conventi sono nate le creazioni più sofisticate della dolciaria isolana e si sono mantenute altre tradizione che in altro modo sarebbero scomparse, basti nominare il cannolo, o le ‘mpanatigghe modicane. Sciacca, per esempio, una città piccola ma importante sotto il profilo storico, un tempo era uno dei caricatori di grano più importanti della Sicilia. Qui esistono diversi conventi, tra cui quello della ‘Badia Grande’, sito nel quartiere antico di San Michele nella parte alta di Sciacca.

Tra storia e leggenda

Nel convento della ‘Badia Grande’ nasce un dessert che fino agli anni ’50 era possibile acquistare tramite le grate del convento di clausura, l'”ovamurina”, un sapore antico, con diversi gusti sprigionati dai suoi ingredienti sapientemente accostati e mai mischiati, così che in bocca ognuno di essi possa esprimere la sua identità e la sua fragranza. Dell’ovamurina, nella città di Sciacca esistono diverse varianti e tutte le custodi di tali varianti assicurano, ovviamente, che la loro è quella originale.  Tra le diverse narrazioni sulla nascita della ricetta, quella più accreditata parla del 1600.


 

Ma va fatta una precisazione: la ricetta dell’ovamurina nasce per sostituire il cannolo in estate. Infatti, la ricotta era poco reperibile in quel periodo. L’ovamurina, in pratica è molto simile al cannolo, con una ‘scorcia’ esterna, fritta e resa croccante dai pezzi di mandorle e con all’interno crema bianca. L’ovamurina è una reminiscenza araba che si accosta ai sapori del nuovo mondo, infatti mandorle, zucchero e cannella incontrano la zucchina siciliana, la fecola di mais e il cioccolato. È un dessert che non si trova facilmente nelle pasticcerie, soprattutto perché non si presta alle grandi produzioni. Tuttavia, le poche versioni che si trovano in commercio, sono delle rivisitazioni adeguate a una pasticceria moderna e ben diversa dalle tradizioni antiche. Buone ma distanti dall’originale.
 

Gli ingredienti

Per la frittata
Mandorle con pelle 200 gr
Uova                          6
Zucchero                 150 gr
Farina                        30 gr
Acqua                       30 gr (se necessaria)
Per la farcitura
Latte                         500 ml
Amido di mais           70 gr
Zucchero                 100 gr
La zuccata
Zucchine lunghe siciliane  1 kg
Zucchero                  400 gr
Altri ingredienti per farcire
Cioccolato amaro (80%) 50 gr
Cannella in polvere

Preparazione

Per fare un a buona Ovamurina necessitano un paio di giorni di preparazione. Bisogna fare la zuccata e la crema di latte il giorno prima e raffreddarli completamente. Il processo è fondamentale, tostare le mandorle fino a che siano scure, l’amaro che sprigioneranno servirà al sapore finale. Raffreddarle e poi pestare con un mattarello. È importante che le mandorle non siano uniformi perché la perfezione dell’Ovamurina sta proprio nella sua imperfezione. Mescolare la farina con lo zucchero, la farina e le uova, fare riposare un ora e aggiungere acqua se la consistenza è troppo densa. Il giorno prima fare la crema di latte. Mescolare lo zucchero, l’amido ed il latte freddo, portare ad ebollizione mescolando e fare bollire 3 minuti.

Raffreddarla in una casseruola alta che abbia la larghezza di cm 13\15 con un’altezza di 4\5 cm. Tagliare a fette spesse 1 cm. Tagliare il cioccolato a scagliette. Mettere per facilità la zuccata in un sac à poche. In una padella calda mettere un filo di olio e versare un mestolo di impasto, come per fare una frittata sottile. Poggiare una fetta di crema di latte nella parte alta della frittata, un filo di zuccata e delle scaglie di cioccolato per la lunghezza della crema di latte. Infine una spolverata di cannella. Non appena la parte a contatto con la padella comincia ad avere un colore nocciola scuro, cominciare a chiudere la frittata su se stessa iniziando ad avvolgere la crema di latte e tutti gli altri ingredienti, arrotolandola. Mettere su un piatto e spolverare lievemente con altra cannella.

 

Novara di Sicilia, un Borgo identitario

              L' operosa comunità di Novara di Sicilia 

candidata  al  prestigioso riconoscimento di 

“Custode dell’Identità Territoriale“ 

del percorso Borghi GeniusLoci De.Co.

             Novara di Sicilia, paese situato in provincia di Messina,    gioco, cibo tradizionale e scaramanzia animano le vie del paese durante il Torneo di Lancio del Maiorchino, un   un formaggio stagionato che   si collega ad un gioco tradizionale - Il Lancio del Maiorchino, praticato già nel 1700 secondo la documentazione rinvenuta negli archivi comunali. Durante le feste di Carnevale, diverse squadre di uomini e donne lanciano un formaggio stagionato - fabbricato con latte ovino e caprino l’anno precedente al gioco – facendolo rotolare lungo un percorso prestabilito attraverso il centro del paese.
VIDEO

  UN PAESE IN FESTA

La produzione del Maiorchino è espressione di pratiche di allevamento tradizionale rispettose dei ritmi delle transumanze stagionali. Queste, oltre a favorire la biodiversità, sono all’origine di un prodotto di alta qualità, prezioso per l’economia di una comunità impegnata a combattere lo spopolamento. Un gioco tradizionale rivitalizzato negli anni 90 dall’associazione Circolo Olimpia, coinvolgendo produttori, abitanti di Novara così come turisti e appassionati di paesi limitrofi. Questa tradizione ludica contribuisce alla notorietà del formaggio, favorendo un turismo sostenibile, rafforzando il senso di appartenenza e una dinamica di dialogo con altre comunità ludiche tradizionali.  
 

Sicilia Regione Enogastronomica d’Europa 2025

  


 

https://youtu.be/XVEEek_klN8

 

Visit Via Selinuntina, Sicily, Italy

Menu del film gastronomico 2023 di IGCAT
Vincitore categoria: Visita Via Selinuntina, Sicilia, Italia
Categoria: TURISMO EQUILIBRATO E SOSTENIBILE


sabato 6 gennaio 2024

“Lu cucciddatu” di Anna Scovazzo

 
L'Amministrazione comunale, nel 2014 guidata dal Sindaco Nicola Catania, oggi Deputato all’ARS, ha adottato il   percorso “Borgo Genius Loci De.Co.” della Libera Università Rurale –  con apposita delibera della Giunta municipale   –  che mette al centro il territorio e le specificità che lo contraddistinguono. 

Un azione senza dubbio lungimirante, destinata a essere consegnata alla storia di questa terra.

“Lu cucciddatu” è il titolo della pubblicazione a cura di Anna Scovazzo dedicata a uno dei prodotti identitari di Partanna. 

         
La presentazione del libro si è svolta a  Partanna, in provincia di Trapani,   negli spazi dell’ex Monastero delle Benedettine con una platea tanto copiosa quanto attenta.
L’Autrice, profonda conoscitrice dei luoghi, degli usi e dei costumi del lembo del Belice in cui Partanna sorge, è stata insignita del   prezioso riconoscimento di “Custode dell’Identità Territoriale”, proprio in occasione dell’iniziativa. 
A conferire il titolo sarà Nino Sutera – che ha firmato anche la prefazione dell’opera  – coordinatore nazionale Borghi Genius Loci De.Co. e animatore della Libera Università Rurale dei Saperi & dei Sapori.  

 


L’ ESEMPIO VIRTUOSO DI PARTANNA 

“Mantenere vivo il fuoco che brucia vispo nei solchi lasciati dalle vite di chi abita questa terra, e alimentarlo con storie evocative ed emozioni travolgenti”.
Con queste parole, Gustav Mahler, compositore e direttore d’orchestra austriaco del periodo tardo-romantico, definiva il concetto di tradizione.
“Tradizione – sosteneva – non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco, e omaggiarla non è chinare il capo al passato o lasciare alle ceneri del ricordo il compito di portare fino a noi le immagini di un tempo ormai andato”.
“Una visione precisa –  specifica  Nino Sutera – che ben si adatta all’azione del Borgo Genius Loci De.Co.”. 
Nel caso specifico di Partanna, il tutto è avvenuto a seguito dell’adozione, da parte dell’amministrazione comunale, guidata dal Sindaco Nicola Catania, oggi Deputato all’ARS,  del percorso “Borgo Genius Loci De.Co.” della Libera Università Rurale –  con apposita delibera della Giunta municipale nel 2014 –  che mette al centro il territorio e le specificità che lo contraddistinguono. 

Un azione senza dubbio lungimirante, destinata a essere consegnata alla storia di questa terra.

 

VALORI IDENTITARI, TURISMO E SENSO DI APPARTENENZA AL TERRITORIO 

 Il riconoscimento, dunque, è destinato non solo a chi promuove la tradizione dei territori in chiave identitaria, ma anche ai soggetti che mettono in atto un’efficace comunicazione del patrimonio enogastronomico autoctono.
Si tratta di un’azione prioritaria, che consente alle varie realtà territoriali di acquisire maggiore incisività sotto il profilo turistico ma anche nei confronti dei visitatori e dei viaggiatori.
Proprio questi ultimi, infatti, ritrovano nel cibo un insieme di valori,  spesso di carattere identitario. 
Come spiega lo stesso Nino Sutera, non a caso al francese “terroir” si preferisce il latino “Genius Loci” e non si tratta soltanto di una precisazione terminologica o di carattere linguistico. 
“La seconda espressione – sottolinea il coordinatore nazionale Borghi Genius Loci De.Co. – indica un equilibrio di forze ed energie che connota un luogo ben definito e una memoria irripetibile”. 
Elementi che si esprimono attraverso il legame affettivo verso un ricordo o un luogo che rimanda all’infanzia
Ma anche per un dolce o un piatto che sanno di “folklore” e si collegano a una precisa dimensione etno-antropologica.
“L’effetto Genius Loci – precisa Nino Sutera – attiene dunque alla capacità, propria di un territorio, di produrre grazie all’abilità dell’uomo che ne riconosce le specificità, l’unicità e la singolarità”.
In sintesi, il valore.

“NARRARE” L’ANIMA DEI LUOGHI: IL COMPITO DEI CUSTODI DELL’ IDENTITÀ TERRITORIALE 

Appare chiaro, dunque, che in una simile ottica le prelibatezze gastronomiche non siano soltanto un piacere per il palato ma pure un’occasione per esaltare gli elementi storici e culturali dell’area di provenienza. 
“Tuttavia – avverte Nino Sutera – il processo deve essere inteso anche e soprattutto come narrazione di un frammento di civiltà“.
Ovvero, quel Genius Loci che Luigi Veronelli,  giornalista e ideologo delle De.Co., definiva quale intimo e imprescindibile legame tra uomo, ambiente, clima e cultura produttiva. 
Ecco che in tal senso il ruolo di ciascun “Custode dell’Identità Territoriale” assume una valenza focale nel percorso di valorizzazione dei simboli della terra, in connessione profonda con le bellezze ambientali e le tradizioni popolari. 
Le parole d’ordine, per quanto concerne il territorio, sono comunicazione e promozione
 “Il Genius Loci – osserva Nino Sutera – è insieme territorio della memoria e patrimonio collettivo, il valore più profondo della cultura mediterranea ed europea”.
“L’unico anticorpo che abbiamo – conclude – rispetto alla cultura dell’indefinitezza globale”.

  







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