A differenza di altri, Artusi ha rappresentato il primo vero custode della tradizione culinaria identitaria del Bel Paese,
Quello che fin dal Medioevo,
oltre le differenze regionali, ha accomunato la nostra cucina è la propensione
alla pasta: dalle lasagne dei romani ai vermicelli essiccati degli arabi, che –
grazie alla loro facilità di conservazione e trasporto si diffondono
rapidamente – dando il via ai primi pastifici. Senza dimenticare la pasta
ripiena (ravioli e tortelli) e le torte di pasta dura, golosi format da
declinare e farcire a seconda delle tipicità del proprio territorio, (con uova
a Milano, senza a Bologna; con olio a Genova, con burro e olio a Bologna e a
Milano; verdure o carne) o di quello che si ha in casa. A Napoli, per esempio,
questo tipo di torta è aperta, anziché chiusa, e non a caso viene chiamata
“pizza” e può essere considerata la progenitrice del cibo italiano forse più
conosciuto al mondo. Queste preparazioni ci portano direttamente a un altro
“piatto forte” della nostra tradizione alimentare: i piatti unici. Da Nord a
Sud è un trionfo: dalle torte sopracitate alle varie forme di tiella – da
quella barese a quella di Gaeta – fino alle paste con i legumi.
Ed è con questa complessità di
tradizioni territoriali, con questa ricchezza di ricette, con questa abbondanza
di prodotti agroalimentari, che avrà a che fare Pellegrino Artusi, quando nel
1891, pubblica “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene”. É molto più che
un libro: è la nascita della cucina italiana, seppure intesa come la somma
nazionale delle sue differenze regionali. É un’operazione culturale che, come
afferma lo studioso Piero Camporesi “ha fatto per l’unificazione nazionale più
di quanto non siano riusciti a fare i Promessi Sposi… ciò si capisce, anche
perché non tutti leggono, mentre tutti al contrario mangiano”. Ma la strada da
fare è ancora lunga e tutta in salita … anzi in discesa purtroppo… perché è
nelle trincee della Prima Guerra Mondiale che ragazzi da tutta Italia si
trovano insieme, nonostante i differenti dialetti, e il cibo diventa la lingua
universale. Scambiare ricette e assaggiare, ove possibile, piatti diversi non è
solo il modo di avvicinarsi a casa con il pensiero e il palato e di superare
per pochi istanti le brutture di una guerra senza fine, ma è anche un tassello
fondamentale nella costruzione di quell’identità nazionale vagheggiata fin da Massimo
d’Azeglio subito dopo l’Unità.
Quello che fin dal Medioevo, oltre le differenze regionali, ha accomunato la nostra cucina è la propensione alla pasta: dalle lasagne dei romani ai vermicelli essiccati degli arabi, che – grazie alla loro facilità di conservazione e trasporto si diffondono rapidamente – dando il via ai primi pastifici. Senza dimenticare la pasta ripiena (ravioli e tortelli) e le torte di pasta dura, golosi format da declinare e farcire a seconda delle tipicità del proprio territorio, (con uova a Milano, senza a Bologna; con olio a Genova, con burro e olio a Bologna e a Milano; verdure o carne) o di quello che si ha in casa. A Napoli, per esempio, questo tipo di torta è aperta, anziché chiusa, e non a caso viene chiamata “pizza” e può essere considerata la progenitrice del cibo italiano forse più conosciuto al mondo. Queste preparazioni ci portano direttamente a un altro “piatto forte” della nostra tradizione alimentare: i piatti unici. Da Nord a Sud è un trionfo: dalle torte sopracitate alle varie forme di tiella – da quella barese a quella di Gaeta – fino alle paste con i legumi.
A Casa Artusi, a Forlimpopoli, c’è un tesoro. Sono quasi duemila lettere indirizzate a Pellegrino Artusi, da lui stesso segnate con la data d’arrivo e quella della propria risposta. L’Italia risorge unitaria grazie ai trasporti e alla comunicazione, alle ferrovie e alle poste. Artusi è il primo a beneficiarne, ricevendo polli e prodotti dai suoi poderi romagnoli, scrivendo lettere a sorelle, nipoti ed amici. Quando pubblica a proprie spese La scienza in cucina non vede ancora l’efficacia della rete postale per la diffusione di un libro, ma saranno i suoi potenziali e reali lettori a rivelarglielo. Nel 1897 l’indirizzo dell’autore, piazza d’Azeglio 25, figura accanto a Bemporad incaricato della diffusione, e inizia una nuova vita in quella casa perché arriveranno in numero crescente cartoline postali e cartoline illustrate, lettere di sconosciuti, accanto ovviamente a quelle dei numerosi nipoti. Una nuova vita, per il vecchio signore, nello studio, a rispondere a richieste semplici, l’invio contrassegno di un esemplare, e altre più complesse, concernenti una ricetta assente, un ingrediente sconosciuto e persino, da Palermo, su come procurarsi l’utensile per fare le cialde, introvabile nei negozi. Quando Artusi, nei mesi estivi, è in vacanza, il primo a rispondere alle richieste di esemplari del libro è il cuoco Francesco Ruffilli, sempre impegnato a correre alla posta o ai depositi ferroviari. Così La scienza in cucina viaggia e si crea una rete di corrispondenti, donne e uomini, interessati ad una nuova cultura in cui la cucina domestica ha un ruolo fondamentale che eclissa la gastronomia francese e l’industria alberghiera. Alla morte di Artusi le lettere a lui indirizzate entrano a far parte del patrimonio del Comune di Forlimpopoli, destinatario della maggior parte della sua eredità. Il carteggio è ora conservato in Casa Artusi, all’interno dell’Archivio della Biblioteca Comunale P. Artusi. Nel corso degli anni è stato inventariato, trascritto e digitalizzato, diventando un’importante fonte utile agli studi complementari al ricettario e alla biografia stessa di Pellegrino Artusi. Ora, il Comune di Forlimpopoli e Casa Artusi mettono a disposizione dei lettori questo patrimonio di oltre 1840 lettere, quale risorsa documentaria unica, utile a quanti vogliano conoscere meglio la figura e l’opera dell’autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, e non solo.
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