di Giuseppe Bivona
Storicamente,
nelle famiglie contadine più o meno facoltose,vigeva un criterio selettivo che
impegnava il futuro dei propri figli: se erano svegli, perspicaci e
intelligenti ,studiavano e veniva loro assicurata la carriera di
medico,avvocato,ingegnere o ,se aveva la vocazione, ad alto prelato. Chi “non
aveva testa”o difficoltà ad applicarsi ,restava in campagna, a curare e gestire
la proprietà agricola .
Così
nel tempo si sedimentò e consolidò nel settore agricolo, attraverso
una sorta di selezione al ribasso una “debolezza culturale”, che ha
contribuito, non poco a marginalizzare l’agricoltura e relegarla tra le
attività neglette,la cenerentola. Ma vi è di più . Quando poi furono istituiti
le scuole di agraria e l’agronomia elevata a dignità professionale, molti
giovani, nel rifuggire i corsi di studi più impegnativi , non,trovarono
di meglio che sfruttare i facili approdi messi a disposizione
dal fertile ingegno di Arrigo Serpieri. Al ché , il vecchio, saggio
contadino avrebbe commentato: “chiama l’orvu chi t’accumpagna” “
Queste,
sono certo , scherzose semplificazioni di una realtà molto più complessa
e complicata e …gli accenni volutamente paradossali, non hanno alcun intento
nel mancare di riguardo verso tecnici e agricoltori con cui intercorrono
rapporti di fattiva collaborazione e profonda stima.
Tuttavia
è innegabile che nella storia e nella cultura dominante ,”la campagna “ o in
genere la “ruralità” sono stati termini quasi da esorcizzare, una etichetta
infamante , un vissuto da cui fuggire il più lontano possibile,nella stolta
convinzione chela vita agreste equivalesse sempre e comunque a fame
,miseria ed ignoranza e che dietro il “rurale” si celasse il
populismo reazionario , l’infido interclassismo quello ,che ha sempre
ossessionato la sinistra . Così i contadini del sud venivano identificati come
“sanfedisti” , forcaioli ,sordi e insensibili ai richiami risorgimentali
(ricordate i fratelli Bandiera o Carlo Pisaccane?) , o peggio, briganti ,mentre
quelli del nord passavano per “austriacanti” Un retaggio evocato ed
esaltato dal peso e dal ruolo sempre più determinante, che la realtà
urbana assolveva nella vita politica,sociale e culturale.
E
la campagna? Da tempo la nobiltà e la borghesia hanno utilizzato le tenute
agricole quali occasione d’investimento ,produzione ,prestigio,residenza
di piacere fino a che, i conflitti di classe nelle campagne e la
rivoluzione industriale, non ne modificarono radicalmente sia l’assetto sociale
che produttivo.
Agli
inizi degli anni 70 il prof Corrado Barberis dell’Istituto di Sociologia Rurale
osservava come il processo di integrazione della produzione
agricola-alimentare, all’interno dell’economia nella società industriale,
provocava , parallelamente e costantemente, il “divorzio”, la scissione netta
tra agricoltura e ruralità ovvero si delineava sempre più una agricoltura
senza….campagna.
Che
cosa ne è rimasta della nostra vecchia fertile terra?. Un mero supporto fisico,
un semplice ancoraggio! E gli interventi colturali? Sono quasi
esclusivamente condizionati dalla chimica, dalla meccanica e dalle
biotecnologie e destinati sempre più a sovrapporsi e/o sostituirsi, in modo
invasivo, ai naturali processi biologici!
Così
l’attività e le produzioni agricole sono sempre più influenzate ,anzi
condizionate, dal mercato globale che ne modella il paesaggio ,segnato ,
ormai dalla monotonia della monocultura e, consegna la “campagna “ come
appendice , semplice segmento, della complessa filiera agro-industriale!
Osservate,
per un istante gli allevamenti zootecnici “intensivi”, vengono catalogati come
“agricoli”….. per ovvia convenienza fiscale . Ma ci siamo chiesti
che nesso mantengono con l’agricoltura? Arrivano camion carichi di mangimi e
foraggi e ne escono con liquame destinato ad alimentare centrali di biogas o
concimi quasi chimici (digestati e trattati) E il latte? Quasi un prodotto
secondario.
Eppure
, alcuni interventi di politica comunitaria, in linea di principio
,sull’onda di emergenze ambientali e sanitarie avevano posto la giusta
attenzione ad un processo di “ruralizzazione” della nostra agricoltura onde
favorire principi di qualità ,rispetto dell’ambiente ,difesa del paesaggio e
del patrimonio agricolo ecc .Ma come al solito rischiano di finire nel vecchio
tran –tran di aiuto alle imprese e a quelli di trasformazione agro- industriale
di agricoltura convenzionale Il sostegno alla vera “ruralità “ viene
vanificata dalla imposizione di adempimenti burocratici o da pretestuosi
“parametri “ pseudo –economici ,che relegano i piccoli produttori in
posizione di sicuro svantaggio.
Ma
è proprio vero ,come sostengono gli esponenti dell’agricoltura
industriale, che la “vera” agricoltura, che da mangiare e sfama la
gente, è quella specializzata ,industrializzata ,chimicizzata e …..il resto e
roba da sognatori o di nostalgici perditempo?
Questa
agricoltura che “sfama” la gente è un subdolo inganno: è inefficiente
perché utilizza circa 10 kilocalorie per produrne 1kilocaloria . Inoltre è
inquinante e sprecona Ma in queste affermazioni si nascondono pregiudizi
antirurali ,per il quale la dimensione “campagnola” esprime solo
subalternità ,miseria e residualità .
Queste
posizioni riaffermano che lo spazio rurale ,in senso fisico e sociale
rappresenti un ricettore passivo di valori esogeni ,gentilmente elargiti dalla
società urbana .
Invece
il “rurale” è capace di esprimere oggi come ieri valori endogeni
molto più significativi, molto pertinenti, specie in questa nostra epoca
gravata da profonde crisi da cui non sembra facile trovare vie di
uscite.
Viviamo
in un contesto dove i media sono tesi alla celebrazione di una immagine
idilliaca delle dimensioni rurali , delle produzioni del “terroir”, in cui si
assaporano o si evocano “atmosfere contadine”.In un mondo dove la maggior parte
della popolazione vive in agglomerati urbani e dove l’agricoltura e la
trasformazione alimentare sono talmente industrializzate, i “revival “ del
Mulino Bianco, usano l’angoscia del consumatore che di fronte alla
artificializazione di ogni aspetto della vita e del consumo ,desidera essere
rincuorato o coccolato con rappresentazioni che sfruttano i richiami alla
tradizione al naturale all’antico ( antico forno a legna, antico
frantoio a pietra , antica osteria con cucina casalinga ecc.)
I
meccanismi della promozione dei consumi modulano abilmente ,dosandoli tra loro
, i richiami alla nostalgia da una parte e la tensione schizofrenica verso
l’incessante nuovo il tecnologicamente avanzato.
Perciò
lo spazio rurale non è un terreno definitivamente pacificato tra
produzione industriale (o produzioni no food) e uno spazio di consumo bucolico
e compensativo ,ricreativo od emozionale o delle de-privazioni delle
condizioni stressanti imposte dallo stile di vita
urbano-industriale . La campagna diviene ambito sociale conteso , un terreno di
scontro che riguarda l’uso dello spazio rurale , la produzione di
cibo, l’energia rinnovabile ,le risorse culturali e genetiche
o playgrounnd per le classi medie urbane, presepe ritemprante , spazio
residenziale ,dove le attività ricreative assumono valenza educativa e
sociale e si integrano con quelle produttive.
In
questo contesto emergono assunti nuovi e diversi culturalmente
significativi nati nelle nicchie ecologiche delle odierne dinamiche
sociali. Sono apporti umani , esperienze maturate e sofferte , i
neoruralisti culturalmente avanzati, legati da un lato alle
esperienze familiari ,difesa della loro identità, ,ancoraggio
solido delle proprie radici , opportunità per riappropriarsi orgogliosamente
delle proprie origini . Una mia carissima amica ,madre affettuosa è
ansiosa per un futuro incerto riservato ai giovani, mi esprime non poche
perplessità circa la decisione del figlio di impegnarsi nel gestire
l’azienda agricola di famiglia . Sarò molto radicale , ma non ho mai
visto attecchire” radici “nell’asfalto cittadino ,ne tra gli scatoloni di
cemento , vedo sempre più cumuli di immondizia nauseabonda
accatastate per le vie delle città. E se provassimo ad invertire il
paradigma ovvero il“criterio selettivo” espresso all’inizio con cui
abbiamo aperto questo articolo ? Le intelligenze più fervide si riverseranno
nelle campagne e saranno popolate da giovani che amano la terra ,la
natura, riscopri ranno le emozioni per la nascita di un vitello e
ascolteranno stupiti il suono emesso dalle fogli secche del mais in autunno.
Riformuleranno
la cultura della “sobrietà” attraverso il Recupero, il Risparmio, il
Riciclo, il Riparare il Riutilizzare,Ristrutturare,Rivalutare .Una nuova
“scienza” agricola dove non esistono discipline separate e, il pensiero cresce
nell’esperienza diretta, nell’immensa sapienza…. spaziando libero fra
religione, filosofia ,climatologia fisica, chimica…. Cosi che coltivando
i campi, coltivano la loro….. anima