lunedì 7 ottobre 2024

Misilmeri, Convegno studi Insula dulcis


A Misilmeri, il prossimo 25 ottobre si svolgerà il convegno studi su Insula dulcis

storia dello zucchero in Sicilia tra il XIV e il XV sec. C


La Sicilia è torna a scommettere sulla canna da zucchero. D’altronde, la storia della canna da zucchero (in dialetto ”cannamela”) è strettamente intrecciata con le vicende millenarie della Sicilia. La storia narra che gli Arabi introdussero nell’Isola la coltivazione della pianta e le tecniche di produzione dello zucchero, che rappresentò il primo sostituto del miele. Dopo la conquista dei Normanni, Federico II di Svevia potenziò la produzione dello zucchero, che divenne la più importante e redditizia attività di trasformazione di prodotti agricoli, tanto da essere definito “oro bianco”.

 

La produzione dello zucchero in tutta la Sicilia era tanto sviluppata che nella sola provincia di Palermo nel XIV secolo operavano più di 30 “trappeti” dove si spremevano le canne e si bolliva il succo che, per evaporazione, produceva lo zucchero. Le favorevoli condizioni climatiche che la Sicilia ha offerto per secoli a questa pianta e che si ritrovano in questa parte della Sicilia, dove estati calde si alternano a inverni miti, favoriscono una regolare crescita della pianta e una migliore qualità del succo da cui si produce il rum. La raccolta della canna avviene tra dicembre e aprile, in base al grado zuccherino raggiunto. Le canne vengono recise alla base, dove i culmi concentrano la maggiore quantità di componente zuccherina, eliminando le foglie e gli apici. Questi ultimi, correttamente conservati, possono essere ripiantati nel periodo primaverile per realizzare nuove piantagioni.

Le canne vengono ripulite dalle foglie e spremute con appositi macchinari che ne estraggono il succo, separandolo dalla bagassa, la fibra cellulosica che trova impiego in vari settori (biomasse, stoviglie ecologiche, concimi, etc). A questo punto inizia il processo di fermentazione che trasforma lo zucchero del succo in alcol e che può durare da 4 a 10 giorni. Durante questo periodo il succo viene controllato quotidianamente per verificare la progressiva conversione in alcol. Il declino della produzione di zucchero siciliano inizia nel 1600, a causa di cambiamenti climatici che, come affermano le fonti dell’epoca, ridussero notevolmente la disponibilità di risorse idriche, di cui ” la pianta è voracissima”. Nel giro di pochi decenni la coltivazione scomparve quindi dal resto dell’Isola, ma rimase solo ad Avola per volontà dei Marchesi Pignatelli Aragona Cortes che continuarono a produrre zucchero nel loro feudo.

A questo punto, l’assessorato Agricoltura della Regione Siciliana non può non favorire lo sviluppo della filiera, ritornata di grande interesse per gli addetti ai lavori ma anche per gli intenditori, all’interno della Rete Regionale Sistema della Conoscenza e dell’Innovazione in Agricoltura

 Così l’Assessorato istituisce il Gruppo Tematico  già nel 2021   per Pianificare le scelte future al fine di programmare e mettere in campo le azioni necessarie a sostegno del settore, oltre che rafforzare le politiche di filiera, considerato il grande interesse anche per finalità alimentari, terapeutiche e nutraceutiche. Tra i compiti del Gruppo Tematico vi è quello di interagire con il mondo della ricerca, con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf) e con la Rete interregionale per la ricerca agraria, forestale, acquacoltura e pesca, che di recente si è integrata con la Rete interregionale dei servizi allo sviluppo agricolo.


sabato 5 ottobre 2024

23ª Edizione del Fico d'India Fest

 Santa Margherita di Belice:12-13 ottobre 2024 "

 
𝐂𝐎𝐍𝐕𝐄𝐆𝐍𝐎
𝐋’𝐄𝐂𝐎𝐍𝐎𝐌𝐈𝐀 𝐂𝐈𝐑𝐂𝐎𝐋𝐀𝐑𝐄 𝐍𝐄𝐋 𝐂𝐎𝐌𝐏𝐀𝐑𝐓𝐎 𝐅𝐈𝐂𝐎𝐃𝐈𝐍𝐃𝐈𝐂𝐎𝐋𝐎
🗓️
𝐎𝐫𝐞 𝟏𝟏:𝟎𝟎 // 𝐂𝐎𝐍𝐕𝐄𝐆𝐍𝐎 - "𝐿'𝑒𝑐𝑜𝑛𝑜𝑚𝑖𝑎 𝑐𝑖𝑟𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑟𝑡𝑜 𝐹𝑖𝑐𝑜𝑑𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜 𝑙'𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑜 𝑑𝑖𝑚𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝐸𝑏𝑖𝑜𝑠𝑐𝑎𝑟𝑡 𝑃𝑙𝑢𝑠"
𝑇𝑒𝑎𝑡𝑟𝑜 𝑆𝑎𝑛𝑡'𝐴𝑙𝑒𝑠𝑠𝑎𝑛𝑑𝑟𝑜 - 𝑃.𝑧𝑧𝑎 𝑀𝑎𝑡𝑡𝑒𝑜𝑡𝑡𝑖, 𝑆𝑎𝑛𝑡𝑎 𝑀𝑎𝑟𝑔ℎ𝑒𝑟𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝐵𝑒𝑙𝑖𝑐𝑒 (𝐴𝑔)
🗓️
𝐎𝐫𝐞 𝟏𝟑:𝟎𝟎 // 𝐋𝐔𝐍𝐂𝐇
📌
Saranno riconosciuti CFP ai Dottori Agronomi e ai Dottori Forestali. Saranno riconosciuti 4 CFP ai Periti Agrari e ai P.A.L.












Nell’Atlante ambientale dell’ISPRA tutti gli ecosistemi urbani italiani da ripristinare a partire dal 2031


              Superano il 28% i comuni italiani obbligati a ripristinare le proprie aree urbane a partire dal 2031. Si arriva a oltrepassare anche il 40% se, oltre ai centri e agli agglomerati urbani, si aggiungono anche i comuni periurbani pari all’11,6% del totale.

 


Lo mostra chiaramente una delle carte dell’”Atlante dei dati ambientali 2024” presentato questo pomeriggio a Torino dall’ISPRA durante la manifestazione “Terra Madre”. Anche al fine di supportare il percorso del Governo nella redazione del Piano nazionale di ripristino, la nuova edizione dell’Atlante tiene in considerazione quanto previsto dal recente regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), entrato in vigore il 18 agosto 2024, in base al quale tutti gli Stati membri dell’UE devono assicurare il ripristino di almeno il 20% delle aree degradate terrestri e marine, ed entro il 2050 di tutti gli ecosistemi degradati. Inoltre, il regolamento richiede che non ci sia nessuna perdita netta di spazi verdi e di copertura arborea nelle aree urbane fino al 2030 e un costante aumento della loro superficie totale a partire dal 2031. Le mappe individuano per la prima volta tutti gli ecosistemi urbani per i quali i Comuni dovranno assicurare il mantenimento dell’estensione complessiva (a partire dal 2024) e l’incremento, con azioni di ripristino (dal 2031), delle aree verdi e degli alberi, copertura arborea che solo per il 2,3% è collocata oggi in ambito urbano. Oltre agli ecosistemi urbani dovranno essere fatti interventi di ripristino anche in altri ambiti, come quelli agricoli, forestali, costieri, marini e fluviali. Allo stato attuale il 23,3% degli ecosistemi risentono di una frammentazione elevata, mentre quasi un quinto (17,5%) è a frammentazione molto elevata. Nel 74% degli habitat mappati da Carta della Natura, i sistemi ambientali in cui le attività antropiche risultano predominanti, come le coltivazioni e le aree costruite, sono più della metà del territorio nazionale (52%), mentre tra gli ambienti a maggiore naturalità risultano maggioritari gli habitat forestali e prativi (44%). La restante parte del mosaico ambientale (4%) è costituita da ambienti costieri, umidi e rocciosi. Non solo aree degradate: il lavoro, articolato in sei sezioni tematiche, contiene anche un’intera sezione dedicata ai cambiamenti climatici, dove le schede sullo stato del clima, sugli indicatori di impatto e sulle strategie di contrasto, offrono un quadro conoscitivo che consente la valutazione della situazione nazionale e locale. Ad esempio, per il clima è possibile analizzare la temperatura media annua registrata nel 2023, compresa tra i -1.9°C della stazione di Valtournenche - Cime Bianche (Aosta, 3018 m s.l.m.) e i 20.9 °C della stazione di Lampedusa o rilevare che il 2023 è stato il secondo anno più caldo della serie dal 1961, superato solo dal 2022, e il decimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto alla norma. Inoltre, le precipitazioni cumulate annuali nel 2023 sono state complessivamente inferiori di circa il 4% rispetto al trentennio di riferimento 1991-2020, con riduzioni più marcate nelle aree occidentali del Nord e del Centro, in Sardegna, in Sicilia e nelle aree centro-meridionali di Puglia e Calabria, le aree del Paese che durante l’anno passato sono state soggette a persistenti condizioni di siccità. 

Inoltre, la carta della pericolosità idraulica, un’altra delle tavole presenti, evidenzia le aree più critiche del territorio nazionale. Su scala nazionale, si stima che ricadano in aree potenzialmente inondabili, per uno scenario medio di pericolosità (P2), l’11,8% delle famiglie, il 13,4 % di imprese e il 16,5% di beni culturali, con conseguente impatto economico e sociale. La progressiva impermeabilizzazione del suolo e la riduzione delle superfici di espansione delle piene acuiscono le conseguenze dei fenomeni alluvionali. Il consumo di suolo continua, infatti, a crescere, con una progressiva diminuzione della superficie destinata all’uso agricolo, perdita di biodiversità e aumento del degrado del suolo, con conseguenze che devono essere affrontate attraverso incisive azioni di ripristino. Dal cartaceo direttamente al digitale: tramite i QR Code inseriti in ogni scheda dell’Atlante è possibile collegarsi all’EcoAtlante, il portale interattivo sviluppato dall’ ISPRA dal quale si possono realizzare mappe nazionali e locali personalizzate e uniche nel loro genere, scaricare i dati del Sistema informativo nazionale ambientale e consultare i trend e le statistiche della “Banca dati degli indicatori ambientali” dell’Istituto. Con l’EcoAtlante, basterà sovrapporre le mappe provenienti dai diversi temi per creare una rappresentazione personalizzata e condividerla su siti, social, blog, insomma, ovunque si voglia. 


ECOATLANTE



ATLANTE 

giovedì 3 ottobre 2024

AKIS, ascolta il podcast

 Nella quinta puntata della serie di podcast dedicata al Piano Strategico italiano della PAC Anna Vagnozzi e Francesca Giarè, ricercatrici del CREA Politiche e Bioeconomia e della Rete Rurale Nazionale, ci parlano di AKIS

 


Insieme a Giampiero Mazzocchi, ricercatore CREA e Rete Rurale Nazionale e conduttore della serie, Anna e Francesca ci aiutano a navigare nell’affascinante e complesso mondo dell’AKIS (Agricultural Knowledge and Innovation System), dove cooperazione, formazione e conoscenza sono organizzate sinergicamente per fornire opportunità di crescita e innovazione per il sistema agricolo nazionale. Ne emerge un quadro ricco di opportunità per tanti operatori delle filiere, grazie ai nove interventi previsti nel PSP
Le domande: 
  • Cosa si intende per AKIS e perché è sostenuto nell’ambito della PAC? Cosa ha sostenuto nelle programmazioni precedenti? Quali risultati sono stati raggiunti? 
  • Quali sono gli strumenti a disposizione nel PSP 2023-2027? Chi può accedere ai fondi e in che modo? 
  • Cosa vi aspettate dall’implementazione degli interventi AKIS e quali sono le sfide per la loro implementazione? 

La biodiversità della vite.

 


Giuliana Cattarossi, Giovanni Colugnati

Colugnati&Cattarossi, 

Partner Progetto PER.RI.CON.E.

Finanziato dal PSR Sicilia 2024-2022 Misura 16



Il vino è il prodotto, colturale e culturale, di un insieme di fattori che, per semplicità, possono essere suddivisi in 3 macrogruppi:

- l’ambiente, le discipline interessate al suo studio in questo caso sono l’agronomia, la climatologia, la geologia;

- il vitigno (o i vitigni), aspetti esaminati dalla viticoltura, dall’enologia, dalla biologia;

- l’uomo, storia, archeologia, etimologia, antropologia sono alcune delle discipline che possono contribuire alla valorizzazione delle produzioni agricole, e del vino in particolare, di un territorio.

 


Come è stato chiarito in altri contributi, le scoperte archeologiche degli ultimi anni e le potenzialità della biologia molecolare permettono oggi di affrontare il problema dell’origine dei vitigni sotto una diversa prospettiva, partendo dalla determinazione dei rapporti genetici di parentela tra vite selvatica (Vitis vinifera L. ssp. sylvestris) e vite domestica (Vitis vinifera L. ssp. sativa). Diverse sono le caratteristiche distintive tra queste due sottospecie: la vite selvatica cresce spontaneamente nei corsi d’acqua dei Paesi che si affacciano nel bacino del Mediterraneo ed è una specie dioica con una rara presenza (5%) di individui ermafroditi, mentre la vite coltivata predilige ambienti aridi ed è caratterizzata da fiori completi capaci di autofecondarsi.

L’ermafroditismo e, quindi, l’autofecondazione rappresentano i caratteri di maggiore interesse agronomico che l’uomo ha selezionato per ottenere una produzione abbondante. Questo processo di selezione (domesticazione primaria), cioè di coltivazione della vite selvatica, sarebbe avvenuto nella regione tra Caucaso ed Iran, a cavallo del 40°parallelo, circa 8000 anni prima di Cristo, in piena era neolitica.

Studi recenti evidenziano l’importanza, per la diffusione della coltura della vite, di centri secondari di domesticazione nel resto del bacino del Mediterraneo, dove è ben documentata proprio la presenza di colonie di vite selvatica: ad esempio, nei fiumi e torrenti della Sardegna è evidente la presenza di numerosi individui, di ambo i sessi, di questa specie botanica.

Ma quale è il rapporto delle popolazioni dell’isola con questa specie? E quale il contributo dato alla diffusione del vino, della coltura della vite e alla selezione dei vitigni provenienti dall’Occidente mediterraneo e oggi diffusi in tutti gli areali vitivinicoli del mondo?

Le teorie tradizionali sull’origine e la diffusione della vite ipotizzano fondamentalmente un centro di domesticazione primaria dal quale la vite si sarebbe diffusa nel resto del mondo conosciuto.

La vite coltivata (Vitis vinifera L., ssp sativa) si sarebbe originata dalla vite selvatica (Vitis vinifera L., ssp sylvestris) (Arnold, 1998). Quest’ultima è presente in natura con esemplari maschili e femminili (è una specie dioica); gli ermafroditi (hanno cioè un fiore capace contemporaneamente di produrre polline e di riceverlo) sono presenti solo in piccola percentuale. I vitigni coltivati sono in gran parte ermafroditi.Questo garantisce, naturalmente, una produzione maggiore e costante rispetto alle varietà selvatiche. Infatti, i fiori delle piante selvatiche femminili, hanno necessità di avere individui maschili nelle vicinanze, produttori di polline, per vedere fecondati i loro fiori e quindi avere abbondante produzione di frutti.

Pertanto, il processo di domesticazione, cioè di scelta dei migliori vitigni selvatici e della loro coltivazione da parte dell’uomo, è consistito nel prendere e coltivare gli individui selvatici più produttivi, propagando soltanto il materiale vegetale degli individui interessanti.

L’ermafroditismo e l’autofecondazione sono quindi i caratteri di maggiore interesse agronomico che, fin dal neolitico, l’uomo primitivo ha selezionato nel processo di domesticazione, poiché ciò garantiva una sicura ed abbondante produzione.

Ricordavamo che i più recenti studi relativi alla domesticazione della vite tendono a porre questo avvenimento nella regione tra Caucaso ed Iran, a cavallo del 40° parallelo dell’emisfero settentrionale, circa 8000 anni prima di Cristo (Mc Govern, 2003). La teoria classica considera il fenomeno della domesticazione come un momento ben preciso, localizzato nel tempo una volta per tutte. Anche se questo è un aspetto che contrasta, in realtà, con la logica: in un’epoca in cui le fonti alimentari erano piuttosto scarse, appare difficile pensare che le diverse comunità umane del Mediterraneo non conoscessero e, quindi, non utilizzassero una risorsa alimentare come questa. E’ quindi molto più semplice pensare ad un’origine policentrica dei vitigni coltivati. Infatti, se l’ipotesi dell’origine monocentrica della vite, con la sua diffusione verso ovest, fosse vera tutte le varietà di vite sarebbero imparentate fra di loro e avrebbero un genitore (o pochi genitori) comuni.

In realtà i risultati di diverse equipe multinazionali di ricercatori che, utilizzando le più moderne metodologie della biologia molecolare hanno esaminato i vitigni coltivati nelle diverse aree del Mediterraneo e dell’Europa, confrontandoli inoltre con quelli delle viti selvatiche delle diverse aree

(Arroyo et al., 2006), sembrano confermare proprio l’ipotesi di un’origine policentrica. Infatti le indagini biologico molecolari portano a raggruppare i vitigni in tre gruppi in base alla zona di origine: il Mediterraneo orientale (per le varietà greche e turche), il Centro Europa (per le varietà francesi e tedesche) e il Mediterraneo occidentale.

Da questi dati si può supporre che se la domesticazione della vite è un fenomeno che, da un punto di vista temporale, è avvenuto prima nel Caucaso - ed effettivamente in quest’area sembrano aversi i primi riscontri archeologici dell’utilizzo della vite da parte dell’uomo – anche in altre aree del Vecchio Mondo, in diversi periodi e ripetuti nel tempo, si sono avuti fenomeni di domesticazione.

Ogni vitigno è quindi il risultato di una interazione particolare tra uomo e ambiente, nella sua accezione più ampia un vero e proprio prodotto culturale.


martedì 1 ottobre 2024

Sagra del ficodindia e della mostarda a Camporotondo Etneo

 

Il 5/6 ottobre in via Umberto

Il 12/13 ottobre a Camporotondo Etneo 

frazione di Piano Tavola piazza Abadessa

 

 

Nell'ottica della valorizzazione delle produzioni agricole e dei prodotti agroalimentari della Sicilia, identitari della nostra terra, per la loro valorizzazione e promozione, con l'obiettivo di programmare e sviluppare le produzioni agricole e agroalimentari di rilievo regionale, per una promozione mirata ai mercati interni Ue o extra europei.   

Il Comune di Camporotondo Etneo propone la programmazione della “Sagra della mostarda e del ficodindia”, quest’ultimo frutto tipico della zona dove trova l'habitat ideale per il proprio sviluppo, l'evento è finanziato dall'Assessorato Regionale all'Agricoltura


 

Il ficodindia, con le sue possibili trasformazioni e commercializzazioni con la tipica mostarda da esso ricavata, è uno dei simboli della Sicilia da ritrovarlo, sovente, come simbolo turistico rappresentativo dell'isola

Quattromila gli ettari dedicati alla coltivazione della pianta, da decenni radicata nella cultura gastronomica dell’isola che ha portato alla nascita di una nuova realtà di tutela e promozione di questo frutto come il “Distretto Produttivo del Ficodindia di Sicilia”.

L’obiettivo della Sagra è la valorizzazione delle produzioni agricole tipiche e di qualità dell'Etna, nello specifico “Il Ficodindia dell'Etna”, della sua lavorazione/trasformazione e delle attività commerciali ad essa correlate. Tutto ciò anche attraverso la realizzazione d’iniziative di eventi di aggregazione socio - turistica in grado di divulgare e far apprezzare, a nuove potenziali consumatori, operatori specializzati nel commercio e nella vendita, la bontà dell'eccellenza enogastronomiche derivate dal prodotto primario al di fuori dei suoi naturali confini territoriali.

Inoltre, tale evento, ha come altro obiettivo quello di coinvolgere non solamente l'intera cittadinanza locale, bensì anche i comuni limitrofi al fine di dare un valore aggiunto e un vantaggio competitivo all'intero sistema delle attività economiche e dei comparti produttivi, cercando di avvicinare i giovani a tradizioni che, se non valorizzate, potrebbero andare perdute perché sedimentate solo memoria storica dei nostri anziani. Tale evento si svilupperà in quattro appuntamenti con due giornate nel centro di Camporotondo Etneo, e due nella frazione Piano Tavola, entrambi appuntamenti con percorsi enogastronomici, degustazioni, street food e spettacoli musicali per una strategia di comunicazione mirata a divulgare i consumi salutistici e l’acquisto dei prodotti tipici che avrà come protagonisti i produttori, i commercianti, i ristoratori e gli esercenti di tutte quelle attività di consumo che saranno coinvolte nell'iniziativa. In evidenza il marchio identificativo della Sicilia come regione europea della gastronomia 2025, la prima in Italia ad ottenere questo prestigioso riconoscimento internazionale assegnato dall'International Institute of Gastronomy, Culture, Arts and Tourism (Igcat)

Biostimolanti in Campo: le visite alle parcelle fanno il tutto esaurito

 

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informatore agrario  


A Menfi la ventiseiesima edizione di Inycon

  degustazioni di olio e vino, urban tour ed un grande Talk show su Sicilia Regione Europea della Gastronomica 2025

 

 Tutto pronto per Inycon che ritorna a Menfi dopo 5 anni: Da Venerdì 4 a Domenica 6 Ottobre 2024Menfi, Città Italiana del Vino 2023 

La manifestazione  nata agli inizi degli anni 90 frutto delle sinergie tra Comune e Cantine Sociali Settesoli, con il sostegno economico della Assessorato Regionale all’Agricoltura,  per promuovere il territorio e il giacimento enogastronomico.

 

Il progetto finanziato dall’Assessorato Regionale Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea,  prevede le seguenti iniziative.

La mattinata di sabato sarà dedicata al Talk show accreditato dall'Ordine dei Giornalisti di Sicilia intitolato "Sicilia, Regione Europea della Gastronomia 2025: come integrare il turismo e la gastronomia per promuovere lo sviluppo regionale". Durante il talk interverranno figure di rilievo nel panorama enogastronomico e turistico siciliano. Massimo Todaro, presidente del Distretto di Qualità Sicilia (DOS Sicilia), Giuseppe Bursi, vicepresidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia e presidente delle Cantine Settesoli, Francesca Planeta, presidente di Planeta Estate, Marilena Barbera, vignaiola delle Cantine Barbera, Ludovico Giambrone, componente dell’Ufficio di Gabinetto dell’assessore regionale al Turismo, Sport e Spettacolo, Alberto Pulizzi, dirigente generale del Dipartimento Regionale della Pesca Mediterranea, Alessandro La Grassa, direttore del GAL Valle del Belice, Monica Coluccia, critica del vino, Angelo Bulgarello, assessore al Turismo di San Vito Lo Capo, Dario Cartabellotta, dirigente generale del Dipartimento Regionale dell’Agricoltura, e Calogero Foti, capo di Gabinetto dell'Assessorato Regionale Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea.

Nel pomeriggio del sabato e della domenica gli Urban Tour, percorsi tra le eccellenze e i tesori della città, mentre tutti i giorni sarà aperto il Villaggio enogastronomico con esposizioni e degustazioni dei prodotti gastronomici di eccellenza, con la presenza di diverse cantine del territorio.

Spazio anche all’olio, con 2 corsi, tenuti da Carmen Bonfante e Damiano Licata, su “Approccio alla conoscenza dell’Olio EVO”, in programma sabato e domenica presso Casa Planeta

Applicazione della tecnica dell’analisi sensoriale delle uve in epoca vendemmiale.

Giovanni Colugnati, Giuliana Cattarossi

Colugnati&Cattarossi SRL, Reana del Rojale (UD)

Partner Progetto Perricone


Il processo di maturazione delle uve è influenzato dai fattori climatici e dalle variazioni del quadro ormonale legate all’attività vegetativa e riproduttiva della vite caratterizzate da diverse fasi o periodi:

-periodo erbaceo (30-65 gg)

-periodo dell’invaiatura (6-30 gg)

-periodo della maturazione (25-50 gg)

-periodo della sovra-maturazione (o super-maturazione)

Come noto, la maturazione dell’uva inizia quando gli acini si ingrossano e si colorano (invaiatura) e la polpa diviene morbida con una grande concentrazione di fruttosio, che in parte va a sostituire il glucosio.

Non tutte le sostanze presenti nell’acino aumentano durante la maturazione: gli acidi, per esempio, diminuiscono e soprattutto l’acido malico, il più aspro e aggressivo, presente in quantità maggiori nelle uve non ancora mature e in quelle coltivate nelle zone più fredde. E’ importante invece che rimanga un buon tenore in acido tartarico, fondamentale nel determinare l’acidità totale del mosto (AT).

Negli anni passati il momento della vendemmia veniva stabilito sulla base del rapporto tra zuccheri e acidi, ma tempo ci si basa anche su altri fattori: si può infatti parlare di maturità tecnologica, maturità fenolica e maturità aromatica, raggiunte in genere tra la seconda metà di agosto e la fine di ottobre, cambiamenti climatici permettendo.

Ad ogni modo, occorre trovare il giusto equilibrio tra la maturazione tecnologica (rapporto tra zuccheri e acidi), la maturazione fenolica (la concentrazione delle sostanze che contribuiscono al colore e alla struttura del vino) e la maturazione aromatica delle uve, problematica ancora più evidente nei climi caldo-aridi.


La maturazione tecnologica. Come ricordato, viene valutata in base al rapporto tra zuccheri e acidi: di conseguenza, per favorire la produzione di un mosto più ricco di acidi fissi, soprattutto nelle zone calde, la raccolta delle uve viene anticipata. I tannini nelle uve a bacca nera hanno proprietà conservanti e anti-ossidanti a cui devono la loro funzione protettiva del vino e la capacità di influenzarne il colore: nella fase di maturazione e affinamento del vino, quando l’acidità tende a diminuire insieme alla concentrazione degli antociani, i tannini lo rendono di una colorazione più aranciata. Con l’invecchiamento in botte, i tannini presenti e gli antociani si legano all’ossigeno per dare al vino un colore più vivo (rosso granato).

Inoltre, i tannini servono anche a determinarne il sapore, conferendo al vino caratteristiche di astringenza (tannicità), mentre gli antociani sono contenuti in particolare sono presenti soprattutto nella buccia dell’acino e ne condizionano il colore con la loro tonalità che varia dal rosso al blu.

La maturazione fenolica. I polifenoli sono uno dei più importanti e sicuramente il più numeroso tra i gruppi di sostanze fitochimiche presenti nel regno vegetale. In enologia la maturazione fenolica riguarda la concentrazione delle sostanze fenoliche dell’uva, più concentrate nelle bucce e nei vinaccioli.

Questo tipo di maturazione tiene conto dell’accumulo di antociani e tannini e della loro solubilità.

Quando le uve raggiungono la maturazione fenolica, la membrana delle cellule della buccia si trova nella situazione ottimale per la massima dissoluzione dei componenti fenolici nel mosto, soprattutto degli antociani. Lasciando maturare le uve più a lungo, quindi, si ha un incremento della componente fenolica che contribuisce a rendere il vino più strutturato e ricco di tannini. Il caso ideale (ma purtroppo, non frequente) è quello nel quale maturità tecnologica e fenolica coincidono, a conferma di un perfetto adattamento del vitigno all’ambiente pedoclimatico e di un ottimo andamento stagionale.

La maturazione aromatica. E’ legata in particolare all’accumulo degli aromi varietali, soprattutto del gruppo dei terpeni.

Nel vino troviamo, infatti, gli aromi della vite, chiamati appunto varietali e cioè legati alla varietà, al terreno, meglio terroir, (terreni argillosi daranno aromi più aggressivi, terreni sciolti aromi più fini), alla zona, alla tecnica viticola (potatura), e alla maturità dell’uva.

I terpeni sono contenuti nella buccia dell’uva e conferiscono sentori di fiori o di frutta: possono essere libere nella polpa, e quindi percepite anche masticando un chicco d’uva, come per il moscato, oppure possono essere legate a molecole di zucchero, e quindi in questo caso diventeranno volatili e quindi percettibili dall’olfatto solo in seguito a reazioni di idrolisi nel mosto e nel vino. L’accumulo di sostanze aromatiche nelle bucce tende ad aumentare durante la maturazione, per poi diminuire se questa viene prolungata.

Quindi, il processo di maturazione comporta una serie d’importanti trasformazioni chimico-fisiche che interessano colorazione, consistenza e composizione della bacca.

Per valutarne il livello di maturazione e la loro qualità enologica ci si affida usualmente alle misurazioni analitiche di zuccheri, acidità totale, pH e, per scendere più nel dettaglio, si procede spesso anche alla determinazione di acido tartarico e acido malico. Nel caso delle uve a bacca nera a queste analisi si aggiungono quelle relative alla maturità fenolica ovvero indice di fenoli, antociani potenziali, antociani estraibili e tannini dei vinaccioli (Indici di Glories). Tramite questi parametri vengono realizzate le curve di maturazione, un importante strumento che consente di seguire l’evoluzione delle caratteristiche dell’uva e di stabilizzare di conseguenza il momento più opportuno per la vendemmia, che come noto riveste un’importanza fondamentale nel determinare il profilo qualitativo del vino che sarà ottenuto.

Per questi motivi, la valutazione della qualità enologica dell’uva è un obiettivo fortemente ricercato sia dai tecnici viticoli, che devono potere avere a disposizione parametri oggettivi per indirizzare le scelte in vigneto, sia dagli enologi, che, sulla base delle caratteristiche dell’uva, devono adattare la tecnologia di vinificazione.

L’analisi sensoriale delle uve. La metodica di analisi sensoriale messa a punto presso l’ICV, ed applicata nella pratica da oltre 25 anni, rappresenta una risposta concreta all’esigenza di cui sopra. L’Institut Coopératif du Vin (ICV), con sede principale a Montpellier, è un organismo privato che svolge attività di consulenza viticola ed enologica presso cantine che complessivamente vinificano fino a 12 milioni di ettolitri, tramite l’operato di circa 80 tecnici tra enologi ed agronomi, i quali effettuano anche un’importante attività di formazione per i propri clienti grazie alla messa a punto di specifici corsi di aggiornamento professionale con una forte impostazione tecnico-applicativa.

In particolare, con questa metodologia vengono valutate con un’unica analisi le caratteristiche meccaniche degli acini, l’equilibrio acidico, la potenzialità aromatica, la qualità e la locazione dei polifenoli, evidenziando eventuali disequilibri esistenti tra le varie componenti dell’acino.

Il grande pregio della metodica è di aver standardizzato e trasformato in uno strumento oggettivo quello che si è fatto fin dagli albori della viticoltura, ovvero l’assaggio delle uve. Inoltre, permette di quantificare ognuno di questi parametri in una scheda analitica, rendendo comparabili i risultati ottenuti in giorni, periodi ed annate diverse, oltre a condensare i risultati dell’analisi in una valutazione sintetica, di facile e pratico uso quotidiano.

L’analisi sensoriale prevede l’utilizzo di una scheda analitica che prende in considerazione le tre porzioni principali dell’acino, ovvero polpa, buccia e vinaccioli, utilizzando 19 descrittori.


 

La proceduta di degustazione è applicata a tre acini scelti a caso nell’ambito del campione prelevato in campo e prevede che si parte dall’esame visivo e tattile. Comprimendo l’acino tra le dita viene valutata la consistenza meccanica, che diminuisce col procedere del processo di maturazione; si prende poi in esame il colore della buccia, che passa dal verde al giallo ambrato nelle uve a bacca bianca e dal rosa pallido al nero in quelle a bacca nera. Nell’uva matura il pennello, ovvero ciò che resta attaccato al pedicello se si stacca con facilità dalla bacca, presenta poca polpa aderente e assume colorazione rossa nelle uve a bacca nera; la presenza di un pennello con polpa gelatinosa è indice di stress idrico subito dalla pianta.

Si passa quindi alla degustazione della polpa, che prevede che sia estratta schiacciando l’acino tra lingua e palato, separando la buccia e i vinaccioli che sono sputati e conservati; si continua schiacciando la polpa al fine di estrarre il succo. La presenza di un grumo gelatinoso attorno ai vinaccioli è indice di stress idrico subito dalla pianta. Sul succo estratto vengono valutate la dolcezza, l’acidità gli aromi erbacei e gli aromi fruttati. In talune varietà, col procedere della maturazione sparisce l’erbaceo e compare il fruttato, mentre in altre varietà queste due sensazioni aromatiche s’intrecciano.

La degustazione della buccia prevede che dopo aver deglutito e sputato la polpa, si rimettano in bocca le bucce e si proceda alla loro masticazione, effettuando un numero di movimenti mascellari compreso tra 10 e 15. Dopo aver masticato viene valutata l’attitudine alla triturazione della buccia, che è maggiore nelle uve mature. Passando poi la lingua sul palato viene valutata l’intensità tannica ed infine l’acidità.

L’analisi sensoriale si conclude con l’esame visivo e gustativo dei vinaccioli, la cui importanza non deve essere sottovalutata. Innanzitutto viene valutato il loro colore, che può variare dal bianco giallo-verde, fino al marrone scuro, che caratterizza i vinaccioli da uve mature; la metodologia prevede che i vinaccioli non siano degustati qualora siano verdi. Mordendo i vinaccioli tra gli incisivi, viene valutata la loro durezza; il vinacciolo immaturo è tendenzialmente gommoso e non si rompe, mentre presenta un grado di maturazione ottimale quando diventa fragile e croccante.

La degustazione dei vinaccioli prosegue masticandone un numero fisso tra 10 e 15, al fine di poter valutarne l’astringenza, gli aromi e l’intensità tannica. L’astringenza è avvertita sulle labbra e sul palato, mentre gli aromi che possono essere da verdi, erbacei a torrefatti, scaturiscono dall’analisi della poltiglia. Passando la lingua sul palato durante la masticazione, è invece analizzata l’intensità tannica.

Da molti anni l’ICV applica la metodologia di analisi sensoriale delle uve nelle proprie prove di vigneto, ed ha potuto così definire il peso di varie pratiche agronomiche sul profilo sensoriale dell’uva: inerbimento, diradamento dei grappoli, etc. Ma soprattutto si può monitorare l’andamento dei valori dei descrittori durante il periodo di maturazione dell’uva al fine di investigare l’influenza delle forme di allevamento, dell’età del vigneto, delle condizioni climatiche e delle tecniche colturali.

Un’altra delle applicazioni pratiche più interessanti dell’analisi sensoriale delle uve consiste nel contributo che può dare all’organizzazione della vendemmia: utilizzando la tecnica per valutare il potenziale qualitativo delle uve, è possibile definire degli obiettivi di maturità adeguati ad ogni tipologia di vino che si vuole produrre, e quindi impostare il calendario vendemmiale in funzione di questi stessi obiettivi.

Questo particolare aspetto è stato applicato nell’ambito del Progetto Perricone finanziato dal PSR Sicilia 2014-22, Sottomisura 16.1. e in particolare come Sotto-azione 4 b) nella quale è stata studiata la cinetica di maturazione della bacca ponendo a confronto metodi convenzionali (analisi dei principali parametri enologici) e metodi innovativi basati sulla degustazione dei costituenti della bacca (buccia, vinacciolo).

Per le finalità della sotto-azione è stata effettuata una specifica attività di degustazione utilizzando una scheda semplificata in diversi vigneti della cv. Perricone. La degustazione in campo ha permesso di evidenziare una buona comparazione tra la valutazione del grado di maturazione, in generale, ed il potenziale qualitativo, nello specifico, e i valori zuccherini e di potenziale alcoolico delle uve, dimostrando l’utilità del metodo nell’ambiente siciliano.


Coesistenza delle due “vie” e prospettive future.


Giuliana Cattarossi, Giovanni Colugnati

Colugnati&Cattarossi, Partner Progetto PER.RI.CON.E.



Va detto con chiarezza che, al di là delle diverse posizioni politiche e ideologiche, le due “vie” sono ben distinte: da un lato i vitigni resistenti, con un genitore nobile e un pedigree composito, e dall’altro le nuove tecnologie (NBT) che consentono di attuare gli stessi meccanismi che sono alla base dell’evoluzione biologica: i due prodotti, entrambi interessanti, producono nuova biodiversità.

Ma è incontestabile che ormai il processo è avviato e coinvolge a diversi livelli tutti i principali attori della filiera vitivinicola, ed in questo senso anche il ruolo dei Consorzi di Tutela appare strategico quale cerniera tra produttori e il Comitato Nazionale Vini al fine di una discussione serena e soprattutto scevra da pregiudizi circa il ruolo di queste novità genetiche nel coniugare sostenibilità, salute e qualità percepita dei prodotti.

 


È innegabile comunque che, stante l’acceso dibattito in corso, serve un nuovo, urgente e, per certi versi, rivoluzionario corpus normativo circa le tematiche in discussione: la continua evoluzione tecnica richiede infatti un costante aggiornamento del quadro giuridico di riferimento (nazionale e comunitario), magari adottando la tecnica delle sunset laws (legislazione a scadenza).

Bisogna innanzitutto fare chiarezza in questo settore, presto e bene, coinvolgendo imprese e territori, anche perché le aziende stanno di fatto già investendo sui vitigni resistenti. Un percorso che deve passare attraverso un’informazione corretta e non ideologica sulle nuove tecnologie di miglioramento genetico, rivolta a consumatori e opinione pubblica. L’innovazione non è solo nuova conoscenza ma anche trasferimento e diffusione delle tecniche elaborate in questi anni, ma non collaudate in campo e non implementate nei processi aziendali.

Lo sviluppo delle varietà resistenti e il genome editing potrebbero essere uno strumento importante di crescita ed evoluzione della ricerca italiana ed europea oltre che di felice esempio di joint venture pubblico-privato e quindi è auspicabile che la Commissione in tempi brevi dia la possibilità di esercitare questo tipo di ricerca e di darne applicazione, ma è anche necessario snellire le lungaggini burocratiche per le iscrizioni al Registro.

Ma soprattutto, è giunto il momento che la scienza “esca definitivamente dal canone, inteso come regola, che l’ha inevitabilmente condizionata da secoli. Per questi motivi dobbiamo uscire dall’ideale ristretto della specie, soprattutto perché per fortuna ora abbiamo chiarito i meccanismi e possediamo i protocolli (marcatori molecolari, genomica ecc.) per cui la separazione delle specie non risulta così rigida. Dobbiamo ripristinare le strade comuni tra le varie Vitis, al fine di rendere possibile un meticciamento: in altri termini, serve una nuova antropologia culturale che non si fossilizzi sul concetto di purezza genetica” (Scienza, 2022).


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