«Siamo ancora consapevoli che non possiamo essere liberi se qualcuno controlla la nostra mente e la nostra voce… ma abbiamo dimenticato che non possiamo neppure essere liberi se qualcuno controlla il nostro cibo e le sue fonti». Dunque, «mangiare in modo responsabile significa anche essere liberi». E’ in queste poche parole che si può concentrare il senso di quarant’anni di scritti del romanziere, critico, pacifista ecologista ed agricoltore Wendell Berry
Il nostro secolo ha ereditato il diabete2 epidemico
Oggi gli ammiratori di questo attivista
figlio di contadini che è volontariamente tornato ad arare la terra nel natio
Kentucky sono migliaia – negli Usa è venerato come scrittore di culto –, ma per
molti lustri i suoi profetici saggi sono stati irrisi o sottovalutati. E’
istruttivo riprenderli, o scoprirli, in un’epoca che fa i conti con la
degenerazione delle produzioni di massa, negli allevamenti come nei campi, in
uno squarcio di secolo che eredita dal ‘900 l’obesità e il diabete di tipo 2
divenuti epidemici negli Usa (fin dall’inizio degli Anni 80).
Assurdo non preoccuparsi di come si produce il cibo
Leggere oggi Wendell Berry è quasi come
fare un’iniezione di speranza, perché qualcosa sta cambiando: finisce l’era del
silenzio dei governi sul tema della sostenibilità delle produzioni agricole. E
si apre un’epoca di coscienza ambientalista concreta, legata ai nostri atti
quotidiani: tra questi, mangiare è davvero un atto agricolo, come recita il
titolo del libro di Wendell Berry, perché «preoccuparsi soltanto del cibo» che
ingeriamo «ma non della sua produzione è una palese assurdità».
L’agribusiness che schiaccia i piccoli contadini
I mercati contadini si moltiplicano ormai
anche nella città italiane, ma rimane forte il divario tra chi lotta per una
corretta remunerazione dei produttori attraverso la filiera corta e chi,
invece, sostiene l’agribusiness delle grandi proprietà fondiarie e della distribuzione
organizzata. Un sistema che minaccia l’equilibrio ambientale delle campagne e
contribuisce pesantemente all’aumento dell’inquinamento atmosferico. Occorre
interrogarsi sul perché il commercio di frutta e verdura in Italia ancora
impieghi migliaia di Tir che solcano le strade della penisola in lungo e in
largo portando pomodorini da Fondi a Milano e ritorno (magari solo per farne
lievitare il prezzo) o riso da Vercelli a Palermo, quando ci sarebbero
produzioni più vicine per rifornire i consumatori finali.
Consumatori consapevoli in difesa dell’ambiente
Sempre più consumatori si preoccupano
dell’impatto sull’ambiente dei propri stili di vita: fanno acquisti ragionati
quando si riforniscono di generi alimentari, sostengono le imprese bio,
talvolta scendono in piazza per difendere le piccole e medie imprese contadine.
Perché comprendono il collegamento profondo che c’è tra il cibo, la terra e il
lavoro degli agricoltori. Ma è una presa di coscienza recente per larga parte
degli italiani. Gli altri, i precursori (pochi per la verità), si erano
mobilitati fin dagli Anni Ottanta, con le prime comunità di agricoltori
custodi, nate a tutela non solo della salute degli uomini, ma anche di quella
delle campagne. All’epoca in cui Berry scriveva: «Per 50 o 60 anni ci siamo
cullati nell’illusione che finché avremo denaro avremo cibo. Ci siamo
sbagliati. Se continueremo a offendere la terra e il lavoro che ci consentono
di nutrirci, le scorte alimentari diminuiranno e ci ritroveremo con un problema
ben più grave del crollo di questa economia di carta».
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