Franco Vescera, presidente sez. Confindustria Alimentari e anche Custode dell’Identità Territoriale del Genius Loci De.Co. percorso della lurss.onlus per la valorizzazione dell’identità e le unicità dei territori.
Franco Vescera: «Nessuna
Regione può vantare una così vasta varietà di grani e prodotti».
Il pane siciliano sia
inserito nella “World heritage list” dell’Unesco. Diventi patrimonio
dell’umanità come Pantalica, il barocco del Sud-est o la Valle dei templi. La
proposta, già avanzata al commissario Ray Bondin, è di un brianzolo arrivato
tanti anni fa in Sicilia per amore, al seguito della fidanzata nel frattempo
diventata moglie. Ma anche della Sicilia
si è innamorato presto: Franco Vescera per professione è sempre andato a fondo
alle cose. Da quando era istruttore subacqueo.
Arrivato in Sicilia, ha
approfondito quella che era l’attività di famiglia della moglie: panificatori
dal 1890. Allora ha cominciato a studiare il pane. Lo ha venduto come ambulante, lo ha offerto
ai ministri del G8 Ambiente che erano riuniti al Castello Maniace di Siracusa:
e pare che alcuni andassero matti per la fetta condita con una goccia di olio e
tanto sale. Lo ha offerto ad Alberto di Monaco che è tornato nel principato con
venti chili di pane di Lentini. Poi ha
cominciato a studiare il grano siciliano. Nelle sue 50 varietà antiche che
hanno resistito per millenni arrivando fino ai giorni nostri. «Non c’è un’altra regione – ha detto Vescera
– che può vantare una così vasta concentrazione di varietà di grani. Quello di
Raddusa è diverso da quello di Caltagirone. E a rendere il tutto ancora più
straordinario c’è il fatto che ogni grano serve a produrre un pane diverso. Da
Lentini a Castelvetrano a Camporeale. È una questione di microclima, è una
questione di arte artigianale. Tutto cambia in pochi chilometri. La materia
prima, il prodotto finale». E questa
affermazione Vescera ha deciso di documentarla in uno dei suoi esperimenti.
Colline di Lentini, zona San Demetrio: un campo esposto a sud, l’altro a est.
«Tanto è bastato – ha detto lo studioso – per modificare dal punto di vista
organolettico il pane. Basta qualche minerale in più o in meno a modificare
l’equilibrio: e io credo che questa sia magia».
Sentirlo parlare di grano,
pane, sapori affascina. Perché mette accanto la tradizione più integralista e
una piccola dose di progresso. La tradizione parte dalle 1.500 interviste che
ha realizzato in tutta la Sicilia «ai produttori di grano e di pane – spiega -.
Soprattutto famiglie». Andando a sbirciare nelle loro tradizioni: dal
crescente, all’acqua, al sale. Il modo per esaltare il sapore ma anche il
valore di vitamine e proteine. Perché poi alla fine è solo una questione di
gusti e di abitudini. Nella sola Ustica, 20 interviste per 20 modi diversi di
fare il pane. Lo stesso a Pantelleria, a Piana degli Albanesi. Non c’è
provincia dove non abbia trovato un “tozzo di pane” da studiare con
passione. E adesso pensa a come
proteggere, rilanciare, pubblicizzare grano e pane. Il progetto più ambizioso è
certamente quello del quale ha già parlato con Ray Bondin. Il pane siciliano
patrimonio dell’umanità. «Ho sottoposto la questione al rappresentante Unesco e
all’assessore regionale Sgarlata – ha detto -: è un cammino complicato, lo
sappiamo, ma importante. La catalogazione del pane va curata come quella del
vino». Vescera sa che la Sicilia è la
regione con la maggiore concentrazione di siti Unesco. Lo apprezza ma lancia la
sfida: «In un chicco di grano c’è più storia che in un monumento. Perché
l’origine di quel monumento sta nel chicco di grano, senza il quale non sarebbe
esistito».
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