sabato 7 dicembre 2024

GOVERNANCE, TERRITORIO, COMUNITÀ DEL CIBO


LA  GOVERNANCE TERRITORIALE DEL CIBO: POLITICHE LOCALI, DISTRETTI E COMUNITÀ DEL CIBO

Giaime Berti

Centro di ricerca interdisciplinare sulla Sostenibilità e il Clima

Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

 

Alla crescente consapevolezza che i sistemi alimentari industriali globali generano esiti negativi lungo le dimensioni ambientali, sociali ed economiche della sostenibilità, corrisponde il riconoscimento della necessità di promuovere processi di riscolarizzazione locale degli stessi, al fine di sostenere una transizione verso sistemi alimentari più sostenibili e giusti. Inoltre, molti osservatori considerano il livello locale come la sfera più appropriata per promuovere politi- che alimentari. I sistemi alimentari sono riconosciuti come complessi sistemi socio-ecologici, che vanno dalla produzione al consumo, e che approcciano la governance alimentare da una prospettiva sistemica. Una tale approccio mette in evidenza, tra l’altro, l’inadeguatezza dei tradizionali meccanismi di governo, costruiti intorno a politiche settoriali frammentate e imposte dall’alto (da parte dello Stato, nei suoi diversi livelli istituzionali).

È quindi necessario generare innovazione istituzionale in una duplice dire- zione: da un lato, promuovere un’integrazione settoriale delle politiche e, dall’altro, coinvolgere tutti gli attori del sistema alimentare (dai produttori ai consumatori) in meccanismi organizzativi collaborativi. Il termine governance territoriale fa proprio riferimento a ciò che rende possibile ai territori di comportarsi e agire come “attore collettivo”. Il concetto di “governance” è stato introdotto negli studi politici a partire da- gli anni 90 in alternativa al concetto di “government” per spiegare l’affermarsi di nuovi processi e metodi di coordina- mento della vita sociale ed economica che vanno oltre le istituzioni formali dello stato, il government, per l’appunto. La governance territoriale del cibo è quindi riconducibile a quelle piattaforme di coordinamento (formali o informali, istituzionalizzate o meno) che trascendono le istituzioni formali dell’apparato statale e che indirizzano e promuovono politiche del cibo attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema alimentare di un territorio. Si tratta di spazi sociali partecipativi che: esaminano co- me funziona il sistema alimentare; promuovono sensibilizzazione attorno al tema del cibo, discutono e sviluppano strategie collettive; negoziano significati e interessi; identificano e propongono idee e soluzioni innovative; mettono in comune risorse e sviluppano azioni coordinate tra le diverse componenti del sistema alimentare (produzione, trasformazione, distribuzione, consumo e post-consumo); forniscono raccomandazioni e influenzano le politiche per migliorare il sistema alimentare.

Questo contributo nasce dal webinar “Comunità, Distretti e politiche locali del cibo” organizzato in preparazione del VII Incontro Nazionale delle Rete Italiana Politiche Locali del Cibo e volto ad avviare una riflessione sul rapporto tra le politiche locali/urbane del cibo e gli altri strumenti di governance territoriale del cibo come le comunità e i Distretti del Cibo. L’obiettivo era di tratteggiare le caratteristiche peculiari di questi strumenti per poi andare a identificare possibili ambiti di collaborazione. In uno spettro geografico urbano-rurale, i Distretti e le comunità del cibo si caratterizzano per essere strumenti di governance del cibo rurale, mentre le politiche locali del cibo, meglio note come politiche urbane del cibo, sono strumenti di governance urbana. I primi due strumenti sono istituzionalizzati attraverso normative nazionali, rispettivamente la Legge n.205/2017 per i Distretti del Cibo e la Legge n.194/2015 per le Comunità del Cibo e della Biodiversità di interesse agricolo e alimentare, mentre le politiche urbane del cibo sono degli strumenti volontaristici che ancora non hanno trovato un inquadramento istituzionale

Negli ultimi anni, le città sono diventate importanti attori di innovazione istituzionale attraverso la promozione di due strumenti di governance del cibo strettamente connessi tra loro: le politiche urbane del cibo e i consigli del cibo. In termini generali, le politiche del cibo interessano decisioni e atti politici e/o amministrativi formali indirizzati a tra- sformare o a regolare il sistema alimentare in uno spettro che va dalle singole politiche tematiche o settoriali a quelle integrate. Nel caso delle politiche urbane del cibo si parla di politiche settoriali messe in atto dalle città – in termini istituzionali dai comuni – in riferimento ad interventi che riguardano specifici ambiti d’azione, ad esempio le diete salutari e sostenibili a cui fanno riferimento gli interventi riguardanti  tra gli altri le mense scolastiche, l’approvvigionamento alimentare pubblico e l’educazione alimentare, oppure la lotta allo spreco alimentare, nell’ambito del quale rientrano la ridistribuzione di eccedenze alimentari, campagne di comunicazione, l’educazione e incentivi fiscali per le donazioni di eccedenze (Tabella 1). Le politiche urbane integrate del cibo, che sono etichettate con nomi diversi come food policy (es. Food Policy di Milano, di Roma, di Bergamo, della città metropolitana di Bari, di Lecce ecc.), piani del cibo (es. Piano del Cibo della Piana di Lucca), strategie alimentari (es. Strategia Alimentare di Livorno), sono da considerarsi invece delle meta-politiche, delle strategie che spesso prendono la forma di documenti di indirizzo e di un corrispondente piano delle azioni in cui le singole po-litiche del cibo settoriali sono armonizzate e indirizza- te all’interno di un quadro strategico unico e coerente. Hanno una valenza prevalentemente comunale, con casi eccezionali, quali quello della Piana di Lucca, dove il Piano del Cibo è intercomunale e coinvolge cinque comuni.

Le politiche urbane del cibo sono sviluppate secondo la prospettiva della domanda alimentare e, quindi, dei cittadini/consumatori e si focalizzano su interventi in- dirizzati a modificare l’ambiente alimentare, a promuo- vere diete sostenibili e l’educazione alimentare, a favo- rire l’accesso al cibo per tutti, a promuovere le filiere corte a ridurre lo spreco alimentare ecc. (Tabella 1).

 

Consigli, Distretti e Comunità del cibo

Tabella 1 - Ambiti di intervento delle politiche del cibo settoriali

 

AREE TEMATICHE/ SETTORIALI DI INTERVENTO

 

AZIONI

 

DIETE SALUTARI E SOSTENIBILI

Mense scolastiche

Approvvigionamento alimentare pubblico Educazione Alimentare

Orti scolastici Orti urbani

 

TURISMO E COMMERCIO

Distribuzione alimentare Promozione del territorio ed eventi Logistica

 

SPRECO ALIMENTARE

Redistribuzione alimentare Campagne comunicazione Educazione

Incentivi fiscali

 

INCLUSIONE SOCIALE

Aiuto alimentare Mense pubbliche

Ridistribuzione surplus alimentare Orti urbani

DISTRIBUZIONE ALIMENTARE: MERCATI E FILIERE CORTE

Mercati pubblici all’ingrosso Mercati di strada

Mercati contadini

CSA –Community Support Agriculture

 

URBANISTICA

Gestione suolo agricolo Infrastrutture Ambiente alimentare

 

PRODUZIONE ALIMENTARE

Agricoltura urbana Agricoltura periurbana Orti urbani

 

 

Tipicamente, lo sviluppo delle politiche integrate del cibo prevede il coinvolgimento dei cittadini e degli stakeholders del sistema alimentare nella loro co-costruzione e co-implementazione. La partecipazione multiattoriale all’elaborazione delle politiche pubbliche da parte dei cittadini e di tutti gli stakeholders connessi al sistema agroalimentare è identificata

come il tratto distintivo del nuovo sistema di governance alimentare urbana. Le città possono adottare diversi modi di coinvolgimento dal basso. I consigli del cibo rappresentano il meccanismo principale della governance urbana del cibo partecipativa. Attraverso i consigli del cibo si costruisce una alleanza strategica tra le diverse componenti del sistema alimentare e servono da arena per promuovere, sostenere ed es- sere coinvolti dai governi locali nello sviluppo delle politiche alimentari urbane.

I Distretti del Cibo sono l’evoluzione dei Distretti agroalimentari di qualità e rurali, nati più di vent’anni fa con il dlgs 218/2001 come strumento di politica economica indirizzato a sostenere i sistemi produttivi locali: da un lato, quelli caratterizzati dall’interazione tra imprese agricole e agroalimentari legate a una o più produzioni certificate o da produzioni tradizionali o tipiche; dall’altro lato, nel caso dei Distretti rurali, quelli contraddistinti dall’integrazione fra attività agri- cole e altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi rurali di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali del sistema locale rurale. I Distretti, la cui identificazione e riconoscimento è demandata alle Regioni, si formano attraverso un partenariato pubblico-privato, quindi, attraverso la costruzione di una piattaforma multiattoriale del sistema agricolo e rurale di un territorio ampio che coinvolge più comuni. Questo partenariato si costruisce attorno ad un piano di distretto che, generalmente, ha una prospettiva territoriale e dell’offerta alimentare, è rivolto allo sviluppo dell’offerta di pro- dotto in una logica di filiera, alla promozione e innovazione dell’immagine del territorio, alla promozione di sinergie tra i diversi settori economici che incidono nel territorio rurale, alla promozione del turismo enogastronomico e rurale ecc. Con la legge n.205/2017 le categorie di Distretti si sono ampliate tenendo con- to delle evoluzioni che si sono sviluppate negli anni a partire dal discorso sulle filiere corte, gli alternative food networks e il rafforzamento delle relazioni città- campagna e, in tal senso, rientrano nei Distretti del Cibo sia i sistemi produttivi locali localizzati in aree urbane o periurbane, caratterizzati dalla significativa presenza di attività agricole, sia i sistemi produttivi di filiera corta1. Inoltre, la legge riconosce l’importanza dei sistemi produttivi legati alla produzione biologica e quindi i Bio-distretti e i Distretti biologici.

Le comunità del cibo sono una forma di governance del cibo tipicamente rurale anche se, come dimostra la Comunità del Cibo “Bio-diversamente Piana”, nata per sostenere il Parco Agricolo della Piana fiorentina, possono avere una connotazione urbana. Le comunità del cibo hanno una portata più specifica rispetto ai Distretti, sono realtà territoriali, istituite per pro- muovere la salvaguardia della biodiversità autoctona e delle tradizioni agricole. Come stabilito dalla legge 194/2015 le Comunità del Cibo sono tutti quegli ambiti locali derivanti da accordi tra diversi soggetti a partire dalle aziende agricole, agricoltori e allevatori custodi e coinvolgono GAS, istituti scolastici, enti di ricerca, enti locali, ecc., aventi come obiettivo: lo studio, il recupero e la trasmissione di conoscenze sulle risorse genetiche; la realizzazione di forme di filiera corta; lo studio e la diffusione di pratiche proprie dell’agricoltura biologica; lo studio, il recupero e la trasmissione dei saperi tradizionali relativi alle colture agrarie e alla corretta alimentazione. Le Comunità del Cibo emergono così, come soluzione condivisa, dalla necessità dei piccoli agricoltori di valorizzare e preservare la biodiversità agroalimentare tipica del territo- rio, di promuovere contemporaneamente prodotti di alta qualità e, infine, di sostenere un modello di produzione e consumo sostenibile ed anche la valorizzazione turistica dei territori. Anche le Comunità del Cibo si costituiscono come piattaforme multiattoriali. Ad esempio, la Comunità del Cibo della Garfagnana, uno dei primi esempi di comunità del cibo, si è costituita nella forma di una un’associazione di promozione sociale che coinvolge 54 soggetti di cui 31 Coltivatori e allevatori custodi firmatari della Carta della Comunità. Il 46% sono aziende agricole, 9% sono associazioni e 44% consumatori finali (GAS, ristoranti, negozi).

Gli strumenti della Comunità sono la “Carta della Comunità”, che racchiude gli obiettivi generali da raggiungere e identifica le regole comuni ovvero i principi guida della Comunità, e il “Patto della Terra”. Il Patto, in particolare, costituisce la necessaria rete di supporto alla Comunità e vede in tal senso, come soggetti firmatari di riferimento, gli Enti e le Istituzioni del territorio che hanno il ruolo di individuare, concordare e mettere in atto piani e azioni di sostegno (sia materiali che immateriali) che supportino le attività della Comunità.

Le politiche urbane, i Distretti e le comunità del cibo  sono forme di governance territoriale del cibo differenti con caratteristiche diverse e ambiti di inter- vento specifici (Tabella 2). È tuttavia importante cer- care di comprendere quali possono essere gli ambiti attraverso cui sviluppare interconnessioni tra questi diversi sistemi di governance territoriale per promuovere una riconnessione tra città e campagna. Questo lavoro vuole porre l’attenzione in particolare sulle mense scolastiche che fanno riferimento al c.d. green public procurement e quindi all’intervento pubblico. Negli ultimi decenni, le città si sono disconnesse dalla base delle risorse naturali dei loro dintorni periurbani e rurali e dai sistemi produttivi ad essi associati. Con l’indebolirsi delle relazioni città campagna fino quasi alla loro scomparsa, le città sono diventate sempre più dipendenti dai sistemi alimentari industriali globali. I Distretti e le comunità del cibo possono essere i soggetti che organizzano la produzione non tanto per soddisfare la domanda dei tradizionali canali di filiera corta, come i mercati contadini, le CSA, i GAS o la vendita diretta, che sono accessibili individualmen- te dalle piccole imprese locali, ma possono essere gli interlocutori per soddisfare la domanda dei consuma- tori intermedi come i ristoranti e le mense che, invece, necessitano di grandi quantitativi e un sistema di distribuzione e logistica organizzati. Le mense scolastiche costituiscono il punto di collegamento diretto tra le politiche urbane del cibo, che intervengono attraverso la somministrazione (diretta o indiretta) del servizio mensa o la sua regolazione tramite i capito- lati d’appalto e i Distretti e le comunità del cibo, che sono il luogo di governance dei sistemi produttivi e che attraverso modelli innovativi, come le piattaforme digitali di filiera corta controllate dal basso (food hub digitali locali), possono aggregare, organizzare e distribuire alle mense il prodotto proveniente dalle piccole imprese familiari locali che per motivi strutturali non sono in grado di accedere direttamente ai consumatori intermedi.


Tabella 2 - Ambiti di intervento principali dei sistemi di governance territoriale urbana e rurale: Distretti del Cibo, comunità del cibo e politiche urbane del cibo

 

DISTRETTI DEL CIBO

COMUNITÀ DEL CIBO

POLITICHE URBANE DEL CIBO

Prospettiva territoriale e dell’offerta alimentare-produttore

Prospettiva di comunità legata all’agrobiodiversità locale

Prospettiva

della domanda alimentare-cittadino

          Produzione agricola (di qualità)

          Gestione delle risorse naturali

          Sviluppo territoriale delle economie rurali e delle comunità rurali

          Marketing territoriale

          Turismo rurale

          Rilocalizzazione dei sistemi del cibo

          Tutela dell’agrobiodiversità

          Ricerca e trasmissione del sapere

          Produzione agricola sostenibile e di qualità

          Filiere corte

          Educazione alimentare e coinvolgimento dei consumatori

          Mense

          Ambiente alimentare

          Nutrizione e diete sostenibili

          Accesso al cibo,

          Educazione alimentare,

          Orti urbani

          Approvvigionamento pubblico (mense)

          Spreco alimentare

          Filiera corta

 

 

 


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