I distretti del Cibo, introdotti dalla legge 205/2017, di fatto hanno anticipato nella pratica il concetto della legge appena licenziata dal governo sull'autonomia differenziata
Infatti nell’ultimo aggiornamento si contano 196 distretti del cibo, destinati a crescere, così territorialmente distribuiti:
Abruzzo (7); Basilicata (4); Calabria (29); Campania (23); Emilia Romagna (6); Lazio (15); Liguria (1); Lombardia (18); Marche (4); Molise (2); Piemonte (5); Puglia (11); Sardegna (12); Sicilia (7); Toscana (43); Umbria (4); Veneto (5).
Le Regioni e le Province autonome italiane, con assoluta libertà ed autonomia differenziata, provvedono all’individuazione e al riconoscimento dei distretti nei territori di propria competenza e alla successiva comunicazione al MASAF (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste) per l’iscrizione nel Registro nazionale dei Distretti del Cibo.
Ne viene fuori che in Toscana ci sono 46 distretti in Sicilia appena 7
Cosa sono i Distretti del cibo? Quali funzioni svolgono?
Ma sopratutto la galassia degli enti, istituzioni e associazioni territoriali, sono disponibili a fare un passo indietro, per assicurare autorevolezza, visibilità e ruolo al nuovo contenitore? ... o sono destinati a competere per sopravvivere?
I
distretti del Cibo, introdotti dalla legge 205/2017,dovrebbero essere strumenti di riconoscimento della capacità dei territori agricoli e rurali
di avviare percorsi di cooperazione tra gli attori della filiera produttiva,
finalizzati all’equo riconoscimento del lavoro di tutti i soggetti coinvolti e
alla tracciabilità del processo produttivo in una logica di garanzia per il
consumatore finale.
I distretti del cibo sono istituiti per “promuovere lo sviluppo territoriale, la coesione e l’inclusione sociale, favorire l’integrazione di attività caratterizzate da prossimità territoriale, garantire la sicurezza alimentare, diminuire l’impatto ambientale delle produzioni, ridurre lo spreco alimentare e salvaguardare il territorio e il paesaggio rurale attraverso le attività agricole e agroalimentari” (art. 1 co. 499 Legge n. 205/2017). Ruolo che attualmente svolgono in tanti, anche con finanziamenti copiosi.
La nascita dei
distretti agricoli, in realtà, risale al 2001, all'epoca non hanno avuto tanta fortuna, quando, con il decreto legislativo 228/01, vennero per la prima
volta individuati due tipologie di distretti agricoli:
•
i distretti rurali, con cui
venivano indicati i sistemi produttivi caratterizzati da un’identità storica e
territoriale omogenea, derivante dall’integrazione fra attività agricole e
altre attività locali, nonché dalla produzione di beni o servizi di particolare
specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali;
•
i distretti agro-alimentari di qualità, che
identificavano invece le aree produttive caratterizzate da significativa
presenza economica e da interrelazione e interdipendenza produttiva delle
imprese agricole e agro-alimentari, nonché da una o più produzioni certificate
e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale, oppure da
produzioni tradizionali o tipiche.
A prescindere dalle caratteristiche intrinseche ai due modelli, i distretti avevano la finalità di individuare dei modelli di sviluppo innovativo, con il coinvolgimento diretto di tutti gli attori della filiera e del territorio. Venivano, inoltre, riconosciuti dalle Regioni che, con apposita normativa, ne definiva criteri e peculiarità che naturalmente tenevano conto delle singole specificità locali.
Questo ha portato ad una continua evoluzione della normativa, nonché all’evoluzione delle tipologie distrettuali. Ai distretti agroalimentari e rurali si sono aggiunti quelli biologici, i biodistretti, i distretti di filiera, quelli agroindustriali e così via.
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