domenica 28 marzo 2021

Cannabis terapeutica: nuove opportunità

 

Cannabis terapeutica, .........in Italia è di Stato


  Oggi la domanda viene soddisfatta in minima parte dalle coltivazioni dello Stabilimento chimico farmaceutico militare (Scfm) di Firenze, del ministero della Difesa, l’unica struttura autorizzata (nel 2019 ne ha prodotto 350 kg, nel 2018   150 kg), mentre la maggior parte (altri 700 kg) viene importata

 

Via libera dall’Assemblea regionale siciliana alla norme contenuta in Finanziaria per l’avvio di progetti per la fornitura di cannabis terapeutica 
 Con il voto unanime di tutti i deputati e il parere favorevole del governo regionale, ieri sera è infatti passato l’articolo 67. Con questa norma si autorizza la coltivazione del farmaco, mediante enti strumentali dell’assessorato all’Agricoltura, (il primo in Italia) come l’ESA, per "sopperire alle richieste derivanti dal fabbisogno accertato dalle Autorità Sanitarie nazionali di produzione della Cannabis terapeutica".

La scienza ufficiale esprime riserve, pone interrogativi, sollecita ulteriori verifiche e studi clinici sull’uso terapeutico della Cannabis. A richiederla in quantità sempre maggiori sono quei pazienti con patologie anche gravi che l’hanno sperimentata (si può fare dal 2006) e ne hanno tratto benefici maggiori rispetto ad altri farmaci, e con effetti collaterali trascurabili, senza rischi di dipendenza. La grande finanza se ne è accorta: al Forum economico mondiale di Davos, il 24 gennaio scorso, è stato organizzato un Cannabis Conclave, dato che la domanda dei pazienti nei maggiori paesi europei (Italia, Germania e Olanda) nel 2019 dovrebbe raddoppiare. Negli Usa anche Big Tobacco sta investendo nella Cannabis terapeutica e nutraceutica e fa lobby per allentare le maglie del proibizionismo.

Se l’uso terapeutico della Cannabis Sativa, o dei cannabinoidi, è relativamente poco documentato negli studi clinici è dovuto al fatto che si tratta di una pianta che dal 1961 è considerata illegale: il proibizionismo ha fortemente limitato il suo uso in medicina.


LA SCOPERTA, NEGLI ANNI ’90, del sistema endocannabinoide nel cervello e in altre parti dell’organismo ha riacceso l’interesse della scienza: ora conosciamo i meccanismi con i quali i fitocannabinoidi, in particolare i due più studiati, il THC (delta-9-tetraidrocannabinolo, sostanza psicotropa) e il CBD (cannabidiolo, non psicotropo) agiscono e come possiamo utilizzarli per trattare una serie di sintomi e malattie, in Italia fissati per decreto ministeriale (9/11/2015): dolore cronico e dolore associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per Hiv; come stimolante dell’appetito nei casi di cachessia, anoressia e ai pazienti oncologici o affetti da Aids; come trattamento ipotensivo nel glaucoma; per la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette.

Di cannabinoidi, però, ne esistono almeno altri 80 e i derivati della Cannabis nel loro complesso sembrano efficaci per trattare altre malattie, tra cui epilessia, fibromialgia, patologie autoimmuni, ansia, artrosi, non ancora riconosciute per legge.

«Attenzione: non è una panacea, non è un farmaco meraviglioso – dice uno dei decani dell’uso della Cannabis terapeutica per il trattamento del dolore cronico, il prof. Paolo Poli, presidente di Sirca, Società italiana ricerca Cannabis – esiste una variabilità genetica tale in noi esseri umani che in alcuni pazienti funziona, e in altri no, come succede per tutti i farmaci. Detto questo, è una terapia che stiamo sperimentando: serve molta ricerca clinica – che non viene fatta – e il trattamento è complicatissimo». La complicazione deriva dal fatto che anche la Cannabis Sativa ha una grande variabilità genetica, quindi da piante molto simili si possono estrarre preparati con le stesse percentuali di THC e CBD ma che danno risposte differenti «perché è il fitocomplesso che agisce, non le singole componenti. Nel fitocomplesso sono presenti anche terpeni, flavonoidi e altri cannabinoidi che vanno a influire sulla risposta del paziente».

Per i pazienti sui quali funziona, curarsi con la Cannabis non è semplicissimo. Nel 2017 e nel 2018 alcune associazioni (come Luca Coscioni, InFioreScienza in Liguria) hanno denunciato forniture a singhiozzo. Per chi invece vuole iniziare la terapia, la lista di attesa può durare anche sei mesi (la situazione nelle regioni è varia e in evoluzione).

La scarsità è dovuta al fatto che la quantità di Cannabis per uso terapeutico distribuita alle Asl e agli ospedali è predeterminata anno per anno dal ministero della Salute sulla base del fabbisogno indicato dalle Regioni, che si rivela spesso sottostimato.

Sono circa 30 mila le persone che in Italia ne fanno uso terapeutico, per un fabbisogno di 1 tonnellata l’anno, mentre le previsioni per il 2022 e 2025 parlano di un fabbisogno di 3 e 4 tonnellate. Oggi la domanda viene soddisfatta in minima parte dalle coltivazioni dello Stabilimento chimico farmaceutico militare (Scfm) di Firenze, del ministero della Difesa, l’unica struttura autorizzata (nel 2019 ne produrrà 350 kg, nel 2018 ne ha prodotti 150 kg), mentre la maggior parte (altri 700 kg) viene importata, tramite il ministero della Salute olandese, dalla ditta Bedrocan che negli ultimi anni non sempre è riuscita a far fronte a tutte le richieste, dal momento che vari paesi europei hanno regolamentato il settore nello stesso periodo, facendo esplodere le richieste. Un’ulteriore partita di 100 kg sarebbe dovuta arrivare dal Canada da Aurora, l’azienda che aveva vinto un bando del nostro ministero della Salute, però non è riuscita a rispettare i rigorosi standard di qualità richiesti.


La quota di Cannabis che proviene dall’estero viene gestita per metà direttamente dagli ospedali che hanno la licenza per importarla, per metà da 6 ditte farmaceutiche importatrici che distribuiscono le infiorescenze su tutto il territorio nazionale, in base alle richieste delle Asl. Alessandro Pastorino, titolare di FL Goup di Pietra Ligure, uno dei 6 importatori, ci spiega che le forniture vengono distribuite in modo equo: «Non c’è un motivo pratico per cui una regione riceva più o meno prodotto, ma è vero che nelle regioni esistono maggiori o minori competenze e capacità di gestione e programmazione, anche da parte di farmacisti e medici. Direi che è normale in un mercato nuovo, dove si sta cercando di costruire una filiera».


Certo è che la produzione va incrementata. «Mi domando come mai qui in Italia le gare sono bloccate, perché è tutto fermo – dice il professor Poli – ci sono fior di cordate italiane ed estere disposte ad entrare nel Scfm di Firenze che ci assicura un prodotto di altissima qualità».


Anche diverse Regioni e città si sono candidate per avviare la coltivazione di Cannabis, mentre le associazioni di produttori di canapa premono per rompere il monopolio dello Stato su un prodotto che poi viene acquistato all’estero da aziende private. Un mese fa il ministero della Difesa ha pubblicato un avviso pubblico di pre-informazione per la realizzazione di serre per ampliare lo Scfm. Per vederle in produzione ci vorranno almeno un paio d’anni.

Tra i vantaggi dell’uso terapeutico della Cannabis, Poli sottolinea il fatto che costa meno di altre terapie, se poi la produzione nazionale dovesse aumentare i costi si ridurrebbero ulteriormente. Una terapia standard può costare sui 70 euro al mese: una volta accertato che il paziente risponde bene, si fa un piano terapeutico e il paziente passa a carico del sistema sanitario.

Tutti gli esperti insistono sulle garanzie di qualità e purezza: la Cannabis non è tutta uguale e quella per uso medico deve essere coltivata in soluzione idroponica e non nel terreno, dal quale potrebbe assorbire metalli pesanti (infatti è usata per la fitodepurazione di terreni inquinati), e in serra per non essere contaminata da pesticidi. «Per questi motivi siamo contrari all’auto-coltivazione – precisa Poli – i pazienti che ricorrono al fai-da-te possono avere grossi problemi, soprattutto perché, lo ripeto, le dosi esatte dei diversi cannabinoidi sono fondamentali per l’efficacia della terapia, e non sono determinabili da chi la coltiva in casa».


Lo sanno bene i farmacisti: poiché non esistono farmaci registrati a base di Cannabis (a parte il Sativex, costosissimo e pare già superato), la terapia si fa assumendo per decotto o inalazione (con apposito apparecchio) un preparato magistrale che viene fatto in farmacia a partire da infiorescenze inscatolate con le dosi indicate dalla prescrizione medica. Su ciascun flacone il farmacista deve fare un’analisi che certifichi il contenuto dei fitocannabinoidi: nel suo piccolo il farmacista deve fare quello che fa l’industria farmaceutica (e infatti sono pochi a farlo, un centinaio di farmacie su 18 mila). In Germania per semplificare la vita ai farmacisti è autorizzata la vendita di semilavorati a base di Cannabis, già certificati, pronti da diluire.


La Cannabis sta dunque tornando a grandi passi nella farmacopea, dopo una storia millenaria e decenni di olbio, con tutti i distinguo rispetto all’uso ricreativo, in particolare per gli adolescenti. «Vediamo tante persone che hanno fatto uso di Cannabis ricreativa da giovanissimi, dai 14 ai 20 anni, nel periodo dello sviluppo della plasticità cerebrale, con grossi problemi psichiatrici – dice Poli – Certo, la Cannabis non ha mai ammazzato nessuno, la dose letale è di 6 kg, però in quella fase dello sviluppo può fare danni enormi».





sabato 27 marzo 2021

Rinasce l’antica produzione di rum in Sicilia


 

Dalla materia prima alla lavorazione,  è un rum agricolo tutto made in Sicilia che ridà vita alla lunga tradizione di produzione del distillato nell'isola.

 Il distillato è prodotto con il succo ottenuto dalla spremitura della canna, subito dopo la raccolta fatta a mano, fatto poi fermentare dai 4 ai 10 giorni per trasformarne tutta la componente zuccherina in alcol. Il mosto viene poi distillato in alambicchi in rame con metodo discontinuo, operazione questa affidata alla Distilleria Giovi, nota per l’accurata lavorazione artigianale. Il risultato è un distillato con un volume alcolico che va dal 75 all’85% che, dopo alcuni mesi di riposo, viene portato al 52% e quindi imbottigliato. Prodotto in piccoli lotti (200 le bottiglie disponibili dal fine giugno), dal colore trasparente, Avola Rum è un distillato di alta qualità, dal gusto complesso, con accentuati sentori floreali e fruttati: un prodotto dedicato agli amanti dei rum agricoli, ma anche perfetto per la miscelazione.

  Protagonista di questo progetto, partito alcuni anni fa, è Corrado Bellia, fondatore di Avola Rum, un nuovo brand che da fine del prossimo mese di giugno lancerà sul mercato un rum 100% made in Sicilia. Più precisamente, ad Avola. Bellia ha infatti scoperto che proprio nella cittadina del siracusano, nota per il vino e le mandorle, per oltre 200 anni si è prodotto anche dell’ottimo rum. 




Approfondendo le sue ricerche, sulla scorta di un testo del 1878 del botanico Giuseppe Bianca (Monografia agraria del territorio di Avola), è venuto a capo di questa storia. L’affascinante storia della canna da zucchero in Sicilia prende il via nell’800 dc, quando vi fu introdotta dagli arabi e la cui coltivazione si diffuse in tutta l’isola, dando vita a una fiorente produzione di zucchero. La coltivazione si interrompe nel XVII, a causa dei cambiamenti climatici, che ridussero la disponibilità di acqua, della quale la canna ha elevati consumi. Ma non ad Avola, dove proseguì nelle proprietà dei Marchesi Pignatelli d’Aragona Cortes, imparentati con i re di Spagna, dove il succo della canna non solo veniva trasformato in zucchero, ma anche «nella più bella qualità di Rhum che vendesi a caro prezzo». Una produzione, quella del distillato, che nella cittadina è proseguita fino a fine Ottocento. Una tradizione che rinasce Ma il testo di Bianca, oltre che la storia della canna da zucchero e del rum in Sicilia, racconta nel dettaglio anche le tecniche di coltivazione della prima e della produzione del secondo adottate all’epoca ad Avola. Da queste preziose informazioni è patito Bellia per creare il suo distillato. Avola Rum è infatti preparato con canna da zucchero proveniente dalla piantagione creata da Bellia ad Avola dove il clima, grazie all’alternanza di estati calde e inverni miti, favorisce la regolare crescita della pianta. 




sabato 20 marzo 2021

Dalla riforma della PAC al ruolo dell’AKIS

 NinoSutera

Dalla riforma della PAC al ruolo dell’AKIS

ovvero

il ritorno al futuro


 Non è la prima volta che  Dario Cartabellotta  elabora formule inedite , che contengono una forte spinta innovativa.

 


L'Assessorato all'Agricoltura  nella prospettiva della nuova programmazione mira ad riappropriarsi del ruolo strategico dell'economia della conoscenza, attraverso la  consulenza, l'informazione,  l'innovazione e la ricerca  in agricoltura. 

La situazione congiunturale complessiva impongono scelte lungimiranti, capaci  di    valorizzare le esperienze di successo di tanti colleghi che se pur in quiescenza, posseggono un patrimonio di informazioni, conoscenze e professionalità, che chiaramente non vanno mai  in pensione.

In quest’ottica  il Dipartimento Agricoltura della Regione Siciliana  ha pubblicato un avviso pubblico http://pti.regione.sicilia.it/portal/pls/portal/docs/152879848.PDF rivolto a     soggetti esperti e competenti in quiescenza  L’obiettivo è la costruzione di quell’insieme di “organizzazioni e soggetti che operano in agricoltura, e di legami e interazioni fra loro, impegnati nella produzione, trasformazione, trasmissione, conservazione, recupero, integrazione, diffusione e utilizzo della conoscenza e dell’informazione, con lo scopo di lavorare sinergicamente per supportare il processo decisionale e di risoluzione di problemi e l’innovazione in agricoltura

 

La conoscenza è considerata oggi la risorsa più importante nello sviluppo economico. La strategia di Lisbona, elaborata dal consiglio europeo, si pone l’obiettivo di trasformare l’Unione Europea nell’economia della conoscenza più dinamica e competitiva  .I mutamenti socio-economici degli ultimi decenni hanno contribuito a modificare il modo di essere e di operare delle aziende, in primis, ed è auspicabile che prima o poi il modus operandi interessi anche il contesto  politico amministrativo dei territori. In particolare, si è assistito ad un progressivo spostamento del baricentro dalle risorse materiali alle risorse immateriali. Molti sono i contributi teorici che hanno fatto assurgere le risorse immateriali e il fattore primigenio che le costituisce, la conoscenza, a ruolo centrale dei modelli esplicativi del modo di essere e di agire. 


La stessa Unione europea ha riaffermato, tra le priorità della politica di coesione, l’obiettivo strategico di promuovere lo sviluppo dell’economia della conoscenza insieme con la crescita dell’innovazione e dell’imprenditoria. Ha, inoltre, riconosciuto il miglioramento degli investimenti nel capitale umano (attraverso il miglioramento dell’istruzione e delle competenze) come strumentale e necessario alla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro. Ad oggi, ed è un’ipotesi generalmente condivisa, per crescere e competere in un’economia globale è sempre più necessario investire in conoscenza, nella produzione di idee e talenti, quantificando il valore economico prodotto e scambiato sul mercato in termini non più solo di beni fisici ma soprattutto di beni immateriali. Le competenze, il know how, le conoscenze tacite e strutturate, la capacità innovativa, il marchio, la reputazione, la cultura aziendale, le relazioni con altri stakeholders hanno assunto un’importanza fondamentale nel processo di creazione di valore e, di conseguenza, nel decretare il successo.

 Il sistema della conoscenza e dell'innovazione in agricoltura (in inglese, AKIS - Agricultural Knowledge and Innovation System) è un "insieme di organizzazioni e soggetti che operano in agricoltura, e di legami e interazioni fra loro, impegnati nella produzione, trasformazione, trasmissione, conservazione, recupero, integrazione, diffusione e utilizzo della conoscenza e dell'informazione, con lo scopo di lavorare sinergicamente per supportare il processo decisionale e di risoluzione di problemi e l'innovazione in agricoltura"

La riforma della PAC 2021-2027: il percorso di programmazione strategica in Italia

 

Gli 11 Policy brief e le 10 SWOT sono strutturati per individuare fatti oggettivi che caratterizzano il sistema agricolo, alimentare e forestale e le aree rurali e analizzare i punti di forza, di debolezza, le opportunità e i rischi in relazione ai 9 obiettivi specifici e all'obiettivo trasversale sul sistema della conoscenza (Agricultural Knowledge and Innovation Systems – AKIS)

Con la pubblicazione della proposta di regolamento sulla futura PAC, a giugno 2018, la Commissione europea ha introdotto un nuovo modello di attuazione, che prevede l'elaborazione, da parte di ciascuno Stato membro, di un piano strategico nazionale le cui azioni dovranno concorrere al raggiungimento di 9 obiettivi specifici e un obiettivo trasversale, attraverso la programmazione e l'attuazione degli interventi previsti in entrambe i pilastri della PAC (finanziati dal FEAGA e dal FEASR).

Il percorso di riforma dei regolamenti non è ancora concluso, a causa del prolungarsi dei negoziati a livello comunitario, nel cui ambito uno degli elementi più discussi è proprio la strategia nazionale e le sue relazioni con il livello regionale, che per molti Stati membri - inclusa l'Italia - rappresenta sia un fattore di rilevanza istituzionale, che un valore aggiunto per garantire una maggiore coerenza tra fabbisogni territoriali e interventi finanziati. Oltre alla discussione sul regolamento, la tempistica è anche condizionata dal negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 che tocca gli aspetti di bilancio e il cui sviluppo - includendo le dotazioni per la PAC post 2020 - è in grado di influenzare le ambizioni contenute nel regolamento settoriale.

L PERCORSO ITALIANO

In un quadro normativo non ancora definito e consolidato, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), in collaborazione con le Regioni e Province autonome - e con il supporto della Rete Rurale Nazionale - ha avviato le attività di approfondimento e di confronto indispensabili per costruire la cornice nel cui ambito definire le strategie di intervento, indipendentemente dalle caratteristiche nazionali o regionali che queste assumeranno.

L'approccio adottato vede, pertanto, il costante coordinamento con le strutture istituzionali nazionali, regionali e provinciali, attraverso l'organizzazione di un tavolo tecnico volto a: definire una base comune informativa (di dati e analisi) funzionale al lavoro; definire l'analisi di contesto e la SWOT; avviare la riflessione su strategia di intervento e risultati da raggiungere; strutturare un percorso di sistematizzazione delle esigenze settoriali e territoriali rispetto agli obiettivi della PAC.
Ai lavori del tavolo, oltre alle Regioni e Province autonome, partecipano amministrazioni centrali competenti su tematiche interessate, direttamente o indirettamente, dalla riforma della politica agricola (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare - MATTM, Ministero dello Sviluppo Economico - MISE, Ministero della Salute, Presidenza del Consiglio dei Ministri con il Dipartimento della Protezione civile e il Dipartimento per le Politiche di Coesione), enti statistici e di ricerca (ISTAT, ISPRA, ENEA).

 

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